Quasi come in un rituale macabro e fatale. Come in Francia, a pochissimi giorni di distanza dal trionfo di Macron, anche nel Regno Unito l’appuntamento elettorale, dal quale emergerà il traghettatore di Brexit, rimarrà indissolubilmente legato al terrorismo e alla paura che regna sovrana nelle più grandi metropoli d’Europa. Il tutto mentre i principali istituti di rilevamento di sondaggi certificano, in modo pressoché unanime, un incredibile recupero del Partito Laburista guidato da Jeremy Corbyn.
Nonostante gli oltre quindici punti di vantaggio che la premier Theresa May poteva vantare sul suo principale avversario solo poche settimane fa, l’equilibrio che presumibilmente avrebbe riconsegnato una solida maggioranza ai conservatori, appare oggi quantomai fragile e fluido e il sogno delle elezioni anticipate per rafforzare la pur cospicua maggioranza che aveva permesso a Cameron una facile rielezione appare molto più lontano rispetto alle alte aspettative di Downing Street. Che il primo ministro britannico non avesse il carisma del suo alter ego femminile Margaret Thatcher lo si era capito, in verità, già da tempo, per una serie di ragioni. La prima è, ovviamente, l’assoluta incertezza sui prossimi passi da intraprendere in futuro. Nessuno, neanche la May, ha piena contezza di dove questa lunghissima e complessa trattativa con l’Unione europea porterà il Regno Unito e la sua economia fortemente globalizzata. Corbyn, dal canto suo, nonostante un precipitoso e stantio ritorno alle politiche laburiste degli anni ’80, si trova ora in una posizione inaspettata e per certi versi molto più agevole del previsto. La blanda campagna a favore del remain, infatti, gli ha permesso, pur con un notevole ritardo, di attrarre dalla sua parte una buona parte dell’elettorato di sinistra che il suo predecessore Miliband non era riuscito a portare dalla sua. Si tratta ora di capire se l’emorragia “centrista”, che molti problemi ha causato a Corbyn in questi quasi due anni di leadership, sarà meno rilevante rispetto alla mole di consensi di ritorno dal popolo delle trade unions e dagli storici delusi del decennio blairiano.
Le possibilità di una vittoria di Corbyn, nonostante questa testa a testa, rimangono assai poco probabili. Eppure lo spettro di un governo di minoranza conservatore aleggia sempre di più a Downing Street. Con lo SNP che confermerà, con ogni probabilità, il pienone di seggi scozzesi e con l’Ukip il quale, dopo le diatribe interne, non pare perdere chissà quanti consensi, il testa a testa tra laburisti e conservatori potrebbe condurre ad una situazione decisamente nuova. con una opposizione rafforzata, soprattutto dopo una campagna data per vinta, il cammino di Theresa May sarà sempre più tortuoso, specialmente per un potere contrattuale assai diminuito rispetto alle aspettative. E condurre una battaglia su una uscita tutto sommato economicamente conveniente per il Regno Unito, senza la forza massiccia dell’elettorato, sarebbe per la May un mezzo disastro in grado di minare, già nei prossimi mesi, la sua permanenza alla guida del governo di Sua Maestà. Non ci resta che aspettare domani.