Il mondo del web segna velocità diverse rispetto a quelle della vita reale e soprattutto delle aule di giustizia. Giorno dopo giorno assistiamo a fenomeni cosiddetti “virali” che nel giro di pochi istanti fanno il giro del mondo, veicolati attraverso l’instant Messaging. Dal glorioso Messanger a Whatsapp, passando per Telegram e Tango, tutte rigorosamente gratuite e sicure, grazie anche a protocolli di cifratura che, fino a pochi anni fa erano riservati solo ad enti governativi. Ed il gioco è bello finché dura, ma soprattutto, finché chi lo conduce vuole divertirsi. Ma cosa accade quando il proprietario di una risorsa multimediale (che sia un documento compromettente, un video osé o una foto scattata nel posto o con la persona sbagliata) ne perde il controllo?
Questo, semplicemente diviene virale, favorito anche dagli aggregatori tematici (hashtag) che in breve, convogliano l’attenzione del pubblico allo stesso argomento.
E quale è la cura a tale fenomeno? In molti decanterebbero il principio del “diritto all’oblio” e delle continue pronunciazioni (anche recentissime) della Suprema Corte di Cassazione che, di fatto tendono a tutelare i diritti dei malcapitati. Ma è il tendono la nota stonata tra legislazione e web.
Un contenuto, di qualunque natura esso sia, entrando a contatto col web, ne lascia inevi-tabilmente una traccia e soprattutto, la rete non dimentica. Cancellare con certezza un contenuto scomodo, sulla rete è impossibile, nonostante la legislazione lo permetta e ne sancisca il diritto. Senza dilungarci troppo negli articoli della legislazione in tal proposito, si possono intraprendere alcune iniziative, che perlomeno consentono di limitare i danni provocati dalla divulgazione.
In primo luogo bisogna individuare le risorse dove sono menzionate e, se trattasi di organi di stampa, chiederne la rimozione mediante una semplice richiesta (corredata di motivazioni e possibilmente lasciandone traccia scritta). Le testate giornalistiche specializzate sono attente alla problematica e qualora ne ricorrano i presupposti in breve ottempereranno dandovene comunicazione. Si precisa comunque che la giurisprudenza italiana così sancisce: «è riconosciuto un “diritto all’oblio”, cioè il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione. Analogo principio è stato applicato anche a personaggi che hanno avuto grande notorietà».
Col tempo, i motori di ricerca hanno acquisito una posizione di predominanza sul web, quindi anche le loro indicizzazioni sono importanti per invocare il diritto all’oblio. Primo fra tutti Google, che detiene lo scettro dei motori di ricerca. Il colosso di Mountain View, ha predisposto un modulo per la cancellazione dei contenuti, dopo comunque aver risposto ad un questionario di specie in cui vengono enunciati alcuni distinguo tra informazioni personali e immagini offensive.
Anche in casa Microsoft, con il loro motore Bing, si sono adoperati per la causa e come il caso di Google, hanno messo a disposizione una modulistica per richiedere la cancellazione dei contenuti che ci riguardano.
E ancora, è possibile agire sul motore di Yahoo! attingendo le informazioni contenute nella guida messa a disposizione dalla stessa società.
Infine, se i contenuti sono provenienti da siti indipendenti italiani si potrebbe tentare la medesima mediazione, ma con probabile fallimento vista la natura privata del sito stesso. Ma tentare non nuoce, prima di adire per vie legali. Le possibilità di fallimento invece potrebbero incrementarsi esponenzialmente, per tutte le risorse custodite all’estero e ci riferiamo in particolare ai migliaia di video hard che popolano i siti per adulti. La maggioranza di questi siti sono content provider con server dislocati in paesi esteri, privi di alcuna disciplina di cooperazione internazionale, o peggio server gestiti interamente dai rispettivi proprietari e che non fanno capo ad alcuna legislazione (in housing o deepweb).
Questi sono semplici consigli di ofcs.report, ma il più importante resta il buon senso da parte di tutti voi.