Infami, spioni, primi della classe, traditori. Per anni chi denunciava l’illegalità dilagante nei cantieri, negli uffici o in qualsiasi altro luogo di lavoro veniva bollato come una “spia” da isolare e allontanare. Ma la battaglie culturali, seppur lunghe, alla fine portano a qualcosa. Qualcosa che da la forza di denunciare, salvare vite e perseguire i criminali. La Commissione europea ha finalmente avviato una consultazione pubblica sulla protezione dei “lanciatori di allerta”. La svolta, che risale allo scorso 3 marzo, arriva dopo il segnale da parte del Parlamento europeo in cui si esortava la Commissione a garantire una protezione efficace ai whistleblower presenti e attivi nell’Unione attraverso una legge paneuropea. Ovvero a coloro che internamente o esternamente all’organizzazione per cui lavorano, tentano di portare alla luce un comportamento scorretto, un illecito o una situazione di pericolo, che emerge durante lo svolgimento delle proprie mansioni professionali.
Un fenomeno in forte crescita in tutto il mondo quello dei whistleblower che, come affermato da Věra Jourová, Commissario responsabile del fascicolo: “Svolgono un ruolo cruciale nella lotta contro il riciclaggio di denaro, frode o corruzione. Dobbiamo valutare con attenzione quale sia il modo migliore di procedere su questo tema e quali azioni di livello per proteggere meglio queste persone”.
A Bruxelles, nel mese di febbraio, sono stati 607 i voti dei deputati favorevoli, mentre solo in 16 hanno espresso parere contrario all’attuazione di una risoluzione non vincolante, al fine di ottenere un programma efficace per la protezione dei whistleblower all’interno di aziende, organizzazioni no-profit o enti pubblici.
Nonostante i grandi passi in avanti, la protezione a tutti gli effetti di questi coraggiosi informatori, sia uomini che donne, tende ancora a non vedersi concretizzata. Questo limita le prospettive di chi, nonostante tutto, vuole e sente il dovere di denunciare atti di corruzione o illeciti di cui sono venuti a conoscenza. Una presa di posizione indubbiamente coraggiosa visto che i temi che vanno ad affrontare spaziano dai diritti umani, fino ai danni dell’ambiente o alla salute.
Non a caso, tempo fa, l’amministrazione europea aveva già reso noto, tramite uno studio d’impatto preliminare, tutte le conseguenze della mancata protezione dei lanciatori d’allerta nell’Unione Europea, sottolineando l’urgenza per una valutazione globale in merito.
Perché grazie a loro, scandalo dopo scandalo, a essere protetto non è solo l’interesse pubblico, ma anche la democrazia stessa di una paese.
Ma c’è un paese che già da dieci anni, nel 2007 per l’esattezza, ha adottato un sistema di protezione ai whistleblower: la Norvegia. E dal primo gennaio 2017 anche in Svezia è entrata in vigore una nuova legge per proteggere i lavoratori che segnalano irregolarità sul proprio posto di lavoro.
In Italia, nonostante il decreto 90 del 2014, che consente all’Autorità Nazionale anticorruzione di ricevere denunce di irregolarità da parte di questi informatori, dipendenti del settore pubblico, non c’è ancora una legge chiara e significativa a loro tutela. In campo privato la situazione è ancora più drammatica.
Basti pensare che, in termini di protezione e di adeguamento a questa normativa, il nostro paese arriva solo al sesto posto, davanti solo a Russia, Argentina, Messico, Arabia Saudita e Turchia.