Ogni tre giorni una donna viene uccisa. Per non parlare di quelle che vengono giornalmente picchiate, vessate o addirittura torturate e di cui non si saprà mai niente. Un fenomeno che non conosce confini, distinzioni di razza e di età. Ad ogni latitudine, ogni donna può essere vittima della mano di un uomo che, quasi sempre, è qualcuno a lei molto vicino: il padre, il marito, l’ex fidanzato.
Nei primi dieci mesi del 2016, in tutta Italia, sono 116 le donne uccise. Lombardia in testa con il maggior numero di femminicidi. E’ solo di ieri infatti, la notizia di un altro femminicidio, quello di Elisabeth Huayta Quispe, 29 anni. Il marito l’ha uccisa nel corridoio della loro casa, a Seveso, in Brianza. Strangolata davanti ai loro figli. Al momento dell’arrivo della polizia, l’uomo, Vittorio Fernando Vincenzi di 56 anni, aveva da poco nascosto il corpo della donna morta dietro un mobile in cucina. Un anno fa Elisabeth, lo aveva lasciato, ma poi ha deciso di dargli un’altra occasione. Quella che gli ha dato modo di ucciderla.
C’è chi viene uccisa, violentata, picchiata o sfregiata con l’acido. Proprio come è successo nell’aprile del 2013 a Lucia Annibali, l’avvocatessa marchigiana, aggredita e deturpata dall’ex fidanzato, Luca Varani che ora è in carcere. Lucia è stata tradita proprio da chi diceva di “amarla” . La prima volta quando ha scoperto che stava con un’altra, addirittura in attesa di un figlio suo. La seconda, quando ha assoldato due uomini per gettarle dell’acido sul volto. I due, di origine albanese, l’aspettarono nascosti sul pianerottolo di casa e al momento opportuno, cogliendola di sorpresa, le gettarono l’acido che in un attimo le hanno cambiato non solo la vita, ma anche i connotati. Il motivo di questa assurda vendetta? Averlo lasciato. Una decisione mai accettata dall’uomo. E come molti psicologi e specialisti nel settore affermano, queste aggressioni rivendicano a tutti gli effetti la possessione dell’oggetto del desiderio: la donna. Come dire: mia, o di nessun altro.
Ma Lucia Annibali, come molte donne bersaglio della violenza di uomini incapaci di amarle e rispettarle veramente, non ci sta a sentirsi vittima. Preferisce come ha più volte detto dichiararsi una sopravvissuta. E durante una delle molteplici conferenze a cui di volta in volta prende parte per portare non solo la sua testimonianza, ma anche supporto e coraggio alle vittime di violenza, ha affermato: “Amo il mio viso più di quanto lo amassi quando era perfetto. La bellezza che mi interessa portare in salvo, dall’altra parte del guado, è quella profonda, che ciascuno scova dentro di sé”.
E questo coraggio e voglia di andare avanti, è lo stesso di tutte quelle donne lontane tra loro migliaia di chilometri, ma accomunate da uno stesso, tragico destino. In India, Pakistan,Bangladesh giovani donne vivono nel terrore di essere vittime del “vitriolage”, il termine meno conosciuto dell’aggressione con acido: solforico, nitrico o cloridrico. Una forma di violenza, quasi sempre premeditata che consiste nel gettare una sostanza corrosiva sul corpo della vittima con l’intento specifico di sfigurarla, mutilarla, torturarla e ucciderla. E per paradosso bastano pochi euro o rupie per creare un danno doloroso, permanente e invalidante dai costi sanitari elevatissimi.
La data della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, (istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), quella del 25 novembre, non fu scelta a caso, ma in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos, per oltre trenta anni.