Trecento tonnellate di veleno “pesano” su Escalaplano, piccolo paese della provincia di Cagliari, a sud della Sardegna. Dati scioccanti, quelli sviluppati nella relazione tecnica del professore Giovanni Battista de Giudici, docente di mineralogia ambientale dell’università di Cagliari e consulente dei comuni di Escalaplano e Ballao. Rivelazioni inquietanti, ma non per i cittadini che da tempo (dal 1986 fino al 2008) convivono con situazioni inverosimili. Come quella di vedersi arrivare tutte le settimana lunghe file di automezzi che puntualmente si fermavano a scaricare dentro il Poligono di Quirra. Cosa? Armi e munizioni che fino a quel momento erano nascosti nei bunker di tutta Italia e che, una volta arrivati a destinazione, venivano gettati in enormi buche imbottite di esplosivo per poi farle saltare. E, come si può immaginare, l’effetto a livello ambientale è stato catastrofico. Lo è tutt’ora.
I fumi e le polveri infatti si espandevano ben oltre il poligono militare, arrivando fino i paesi adiacenti, come Escalaplano appunto, che dista a meno di 50 chilometri dalla zona militare di Quirra. Contaminati non solo i terreni delle campagne circostanti, ma anche le sorgenti. Per non parlare degli effetti sulla popolazione e il bestiame.
E come riportato, sul libro inchiesta: “Militari all’Uranio”, dove si parla anche dei poligoni militari sardi, l’inquinamento ambientale è derivato non solo dalle esplosioni, ma anche dalle esercitazioni e persino dal materiale rimasto inesploso e ancora custodito nei bunker. Così, nel corso degli anni, si è assistito a molteplici casi non solo di tumori e leucemie, ma anche di gravi malformazioni a danno dei neonati, soprattutto nella zona di Escalaplano. Bambini nati con due teste o senza braccia. Persino i pastori sardi hanno riscontrato, negli ovini, numerose nascite con strane malformazioni fisiche. Per non parlare delle colture compresse dalle polveri nocive.
Le sostanze rilasciate attraverso le polveri sottili tossiche nell’aria si introducono nel corpo facilmente e in maniera rapida e tramite inalazione, sia negli animali che nelle persone. Ma i brillamenti delle munizioni capaci di sprigionare nubi nere e bianche e, a seconda del vento, di raggiungere non solo il centro abitato di Quirra, ma anche di Escalaplano, facevano sì che durante le piogge i detriti giunti fin li si raccogliessero in buche nel terreno, dove poi i veleni tossici filtravano fino alle falde sotterranee.
E solo grazie ai diretti interessati e alle loro storie che, pian piano e anche qui, si sta cercando di squarciare il muro di silenzio che avvolge non solo i militari delle missioni di pace, ma anche quelli ammalati o, purtroppo, morti intorno alle basi militari sarde. Sia dei soldati che dei civili.
Ad assistere il Comune di Escalaplano nel processo sugli agenti inquinanti c’è l’avvocato Giuseppe Carboni. Il legale più volte ha narrato alla commissione d’inchiesta la drammatica situazione che vede da una parte i cittadini non tutelati e dall’altra i militari impegnati in una sistematica opera di occultamento: “Quando i militari facevano queste operazioni – ha detto Carboni – non si adottava alcuna misura di contenimento dei danni. Si pensava più ad occultare queste attività. C’era una continua negazione del fatto che si facessero queste cose. Il brillamento di queste armi è stato, per decenni, accuratamente nascosto”.
E dopo due anni di fermo, lo scorso novembre è ripartito il processo che vede imputati alcuni generali del poligono di Quirra. Davanti al giudice monocratico di Lanusei, Nicole Serra, otto ex comandanti del Poligono di Perdasdefogu dal 2004 al 2010 (Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Valter Mauloni e Carlo Landi e Paolo Ricci) e i comandanti del distaccamento dell’Aeronautica di Capo San Lorenzo: Gianfranco Fois e Francesco Fulvio Ragazzon. Per tutti l’accusa è di omissione aggravata di cautele contro infortuni e disastri, perché non avrebbero recintato e interdetto al pubblico le zone militari dove ci sarebbero state sostanze nocive come l’uranio impoverito, che avrebbero pregiudicato la salute dell’uomo e degli animali.
Il processo era fermo dal dicembre 2014, quando la Regione Sardegna aveva sollevato presso la Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 311 del Testo unico ambientale, che dispone che il risarcimento danni venga chiesto solo dallo Stato. Come rivelato dall’Ansa, il responso della Consulta, arrivato nel giugno scorso, ha riconosciuto la legittimità stabilendo che il dibattimento si poteva riaprire ribadendo che lo Stato è l’unico titolato a ottenere il ristoro dei danni.
Insieme agli allevatori e ai proprietari delle terre adiacenti i poligoni, si sono schierati anche i rappresentanti della Coldiretti per accelerare, si spera, i giusti indennizzi e risarcimenti.
E sì, perché a destare preoccupazione non c’è solo il poligono di Quirra. Sotto l’attenta osservazione della commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito ci sono anche quelli di Capo Frasca, San Lorenzo e Capo Teulada.
Il nesso causale tra l’aumento dei linfomi e l’inquinamento legato alle esercitazioni, infatti, è ormai sotto gli occhi di tutti. E, poco tempo fa, proprio a Capo Frasca i pescatori del luogo, stanchi di non essere tutelati, avevano messo in piedi una clamorosa protesta a terra e in mare, bloccando persino e per alcune ore le esercitazioni aeree militari.
Come si può constatare, non sono solo i militari ad ammalarsi e morire, ma anche ignari cittadini che rischiano ogni giorno la loro vita a causa dei nocivi agenti patogeni. Perché, oltre la sindrome dei Balcani e la sindrome dell’Iraq, c’è anche quella dei poligoni in Sardegna. Una storia ancora tutta da definire.