Il 20 aprile 2017 potrebbe essere una data da ricordare per tutti gli italiani che hanno a cuore i temi etici. L’aula di Montecitorio, infatti, ha approvato il ddl sul testamento biologico con 326 pareri positivi, 37 contrari e 4 astenuti. Una data storica, quindi, ma un risultato che ora per vedere luce deve passare il vaglio di Palazzo Madama, dove la maggioranza che potrebbe sostenerlo è numericamente meno solida.
Una data storica, dunque, per un Paese come l’Italia in cui parlare di temi etici significa sfidare la sindrome da Peter Pan che prende politici e addetti ai lavori, più propensi ad alimentare scontri e diatribe piuttosto che a confrontarsi nel merito di leggi come quella sul testamento biologico che riguardano la vita e la morte delle persone gravemente malate. Una legge attesa nove lunghissimi anni, costellati da decine di casi, da Piergiorgio Welby ad Eluana Englaro, per finire ai più recenti Dj Fabo e Davide Trentini, costretti ad emigrare in Svizzera per vedersi riconosciuto il “diritto a morire”.
A blindare il testo un asse politico del tutto inedito composto da tutto il fronte della sinistra e dal Movimento Cinque Stelle, per una volta sceso a “compromessi”. Un asse capace di tenere “botta” rispetto all’area cattolica trasversale, che ha provato in tutti i modi a far valere le proprie contrarietà. Le due principali novità rispetto al testo originario sono il riconoscimento della facoltà del paziente di rinunciare a nutrizione e alimentazione, intese quindi come cure sanitarie e non come sostegno vitale, e la facoltà del medico di appellarsi all’obiezione di coscienza, rifiutandosi di fatto a “staccare la spina”.
Ad accendere il dibattito sul testamento biologico sono stati soprattutto i primi due articoli, quelli che contengono di fatto le linee guida della legge. L’articolo 1, che regola il consenso informato del fine vita, è passato con 326 voti a favore. In base al testo “il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico”. Inoltre, “nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure”.
Una volta compresa l’impossibilità di modificare il ddl i deputati cattolici hanno tentato di escludere l’obbligo per le cliniche cattoliche convenzionate con il sistema sanitario nazionale di rispettare le volontà espresse nelle Dat. Un tentativo che l’Aula ha respinto a scrutinio segreto, bocciando l’emendamento di cui era primo firmatario Gian Luigi Gigli (Ds-Cd) volto ad evitare penalizzazioni “nei rapporti che legano” quelle strutture al Sistema sanitario nazionale.
Quanto all’altra novità introdotta rispetto al testo originario, l’obiezione di coscienza, ad introdurla è stato un emendamento Pd-Ap passato alla Camera con 281 voti a favore, che prevede che il medico, di fronte al rifiuto del paziente di proseguire le terapie sanitarie, possa rifiutarsi a sua volta di “staccare la spina”. L’emendamento approvato, secondo i relatori, lascia appunto aperta la possibilità al medico di dire “mi astengo”, se la decisione del paziente va contro le sue convinzioni. Rimane fermo il diritto del malato di rivolgersi ad un altro medico nell’ambito della stessa struttura sanitaria e comunque di ottenere una “risposta attiva” da parte della struttura medesima, la quale, secondo il comma 10 dell’art. 1 è obbligata a trovare una soluzione affinché la volontà del paziente sia rispettata.
Le reazioni politiche
Per Ettore Rosato, capogruppo del Partito Democratico, “in questa legge non c’è nessun sotterfugio che porti all’autanasia, nessuno che potrà morire di fame o di sete”. Di diverso parere Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia – An, che attacca: “in questa legge confondiamo l’accanimento terapeutico con le cure minime. Rifiutare a qualcuno acqua e cibo non può essere accanimento terapeutico. Questa legge è il cavallo di troia per l’eutanasia”. Per la deputata Udc, Paola Binetti, “l’idea che si sta cercando di veicolare è la relazione dell’eutanasia compassionevole scaturita da una solidarietà diretta e misericordiosa nei confronti del paziente”. Per Massimiliano Fedriga, capogruppo alla Camera della Lega Nord, “invece di intervenire a sostegno delle famiglie degli ammalati troppo spesso abbandonate dalle istituzioni si è preferito non risolvere il problema. Noi stiamo dalla parte della vita e ad una morte dignitosa preferiamo assicurare una vita dignitosa, con garanzie concrete di assistenza necessaria, risorse economiche doverose e aiuto del pubblico”.
Soddisfazione espressa dall’associazione Luca Coscioni, attraverso le parole dell’avvocato Filomena Gallo: “Il voto di oggi è sicuramente un passo in avanti fondamentale verso il rispetto delle volontà dei pazienti. Come Associazione Luca Coscioni vogliamo però mettere in guardia anche dalle potenziali trappole nella effettiva applicazione della legge per come è ora formulata”. La questione dell’obiezione di coscienza per il medico, spiega il segretario dell’Associazione, “è stata di fatto stata inserita, anche se controbilanciata dal nuovo comma 9 art.1” che recita: “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge”.
“La moderna medicina salvaguarda il principio per cui il medico opera per il bene del paziente ma riconosce il dovere di rispettare la volontà del paziente stesso, e ciò avviene nella relazione tra medico e paziente su cui si fonda il consenso informato – afferma Margherita Miotto, deputata del Pd e componente della commissione Affari sociali – In questo contesto la legge fa un passo avanti. E per questo è improprio e fuori luogo parlare di obiezione di coscienza da parte del medico; bensì bisogna riconoscere che la relazione può essere interrotta e ne può essere costruita una nuova”.
@PiccininDaniele