Il disegno di legge sul Testamento Biologico “non compromette l’alleanza medico-paziente. E il termine suicidio assistito non rende chiarezza anche solo dal punto di vista etimologico. Cosa significa assistere un suicidio?” A chiederselo, in un’intervista a Ofcs Report, è la professoressa Caterina Pistarini, past president del Sirn (Società italiana di riabilitazione neurologica) e direttore istituti Clinici scientifici Maugeri Genova Nervi.
I dati presentati al XVII Congresso Sirn dicono che in Italia ci sono 3mila casi di persone in stato vegetativo e di questi 700 sono bambini. Può spiegare in quali condizioni sono questi pazienti?
“Queste persone sono in condizioni di grave disabilità che vuol dire problemi motori, cognitivi, relazionali e di autonomia che giustificano una presa in carico riabilitativa precoce, che deve iniziare fin dalla fase critica-acuta allo scopo di formulare una prognosi, ma anche a prevenire le complicanze dell’immobilità protratta, la presa di contatto con l’ambiente, il recupero delle funzioni deficitarie senso-motorie, viscerali, della voce e dell’eloquio, cognitive e del comportamento che altrimenti non potrebbero essere recuperate”.
In Italia l’assistenza per le persone gravemente disabili ha dimostrato di non essere sempre all’altezza. Quante sono le strutture in grado di fornire un’assistenza adeguata a questi malati?
“Esiste un problema di fondo legato non alla assistenza riabilitativa, ma piuttosto alla costituzione delle reti di servizi dalla fase acuta alla fase territoriale. Nel senso che manca un flusso omogeneo e tempestivo per il ricovero dai reparti per acuti o “intensivi” ai reparti di riabilitazione da un lato e, dall’altro, una mancanza di strutture territoriali adeguate ad accogliere queste persone una volta dimesse dai reparti di riabilitazione. Il peso di un’assistenza sproporzionata alle risorse è a carico delle famiglie”.
Nei prossimi giorni il Parlamento riprenderà a discutere del Testamento Biologico, una legge che l’Italia aspetta da vent’anni e nel frattempo tante persone corrono in Svizzera per praticare l’eutanasia. La ritiene una legge utile al Paese?
“Ritengo che l’argomento vada affrontato in modo serio e approfondito perché tocca i fondamenti della vita di ciascuno, le proprie convinzioni, le credenze, gli aspetti più intimi, il principio di libera scelta. Tenere conto di questo ragionando come medici mi sembra importante, vuol dire avere una visione globale dell’individuo. A certe decisioni non si arriva in modo superficiale, con norme decise tout-court. È naturale che questo richieda tempo”.
Il tema del Fine Vita è spesso divisivo anche nella categoria dei medici. In molti dicono che con il testamento biologico venga meno l’alleanza terapeutica fra medico e paziente. Altri sostengono che con questa legge si voglia introdurre l’eutanasia. Lei sarebbe favorevole ad introdurre in Italia il suicidio assistito?
“Non credo che sia compromessa l’alleanza medico-paziente. Il termine poi suicidio assistito non rende chiarezza anche solo dal punto di vista etimologico del termine. Cosa significa assistere un suicidio?”.
Come si possono aiutare le oltre 250mila persone che ogni anno vanno in coma vegetativo?
“Si parla di coma e di stato vegetativo che è un’evoluzione del coma. La creazione di una rete di strutture adeguate dal punto di vista assistenziale e organizzativo potrebbe essere di sicuro vantaggio per la cura e l’osservazione a lungo termine delle condizioni di salute di queste persone e per il supporto alle loro famiglie. Mi pare in questo senso anche che venga in qualche modo risolto il senso di abbandono che le famiglie provano in queste situazioni”.
Dal XVII Congresso Sirn qual’è il messaggio che vi sentite di lanciare alle Istituzioni?
“Fare di più, fare meglio, farlo su tutto il territorio nazionale. Incentivare gli aspetti organizzativi, economici, stabilire criteri affidabili e univoci per l’appropriatezza dei ricoveri nelle strutture riabilitative. Supportare il sistema di rete ospedale-territorio e soprattutto intervenire sugli aspetti assistenziali nel lungo termine. Educare, informare gli operatori sanitari e i caregivers su cosa significa essere persone in stato vegetativo e con grave disabilità”.
@PiccininDaniele