Dieci anni di attesa, 365 giorni di riunioni in commissione affari sociali della Camera, centinaia di incontri e audizioni, una sintesi complicata fra ben 16 testi di legge sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento). Un lavoro certosino, portato avanti a fari spenti ma che, vista la delicatezza e l’importanza del tema trattato, ora ha assunto una rilevanza politica, per alcuni addirittura il casus belli che potrebbe portare all’incidente parlamentare necessario per porre fine alla legislatura Gentiloni. Questo perché sul Fine Vita la variegata maggioranza che sostiene il Governo è tutt’altro che compatta e l’occasione per qualcuno di staccare la spina e andare a nuove elezioni potrebbe essere davvero ghiotta.
Eppure non serve essere un addetto ai lavori per capire che dieci anni di attesa per una legge sul Fine Vita sono una distanza temporale inaccettabile. Ma la politica, si sa, non fa sconti quando si tratta di assumersi le proprie responsabilità. Ed ecco, quindi, che dopo due slittamenti (il testo sarebbe dovuto arrivare in Aula il 30 gennaio, poi spostato al 20 febbraio) l’ufficio di presidenza della commissione Affari Sociali della Camera molto probabilmente deciderà un ulteriore rinvio di almeno una settimana, perché la legge sul Testamento Biologico ha bisogno di altro tempo, altre riflessioni e, chissà, magari un altro Parlamento a cui scaricare la “patata bollente”.
Nell’incontro che si è tenuto martedì 14 febbraio, il Pd ha declinato, per impegni “istituzionali”, la possibilità di sedute notturne per mercoledì e poiché la discussione sugli emendamenti ha appena toccato l’articolo 3 del ddl (in totale sono 5 articoli e ci sono in totale 288 emendamenti da votare), a meno di improvvisi “cambi di passo”, come richiesto dal presidente Mario Marazziti, è molto probabile che si arrivi al terzo rinvio per portare il testo in Aula entro i primi di marzo.
Non ci sta Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e promotore della campagna “Eutanasia legale” che dopo aver invocato “sedute notturne contro l’ostruzionismo” ha denunciato come l’ennesimo rinvio rende evidente “che la strategia è quella di far saltare la legge con la fine della Legislatura”. A chi chiede ancora tempo, Cappato risponde che “dopo 40 anni dalla prima legge depositata da Loris Fortuna, 10 anni dalla morte di Welby, 3 anni e mezzo dal deposito della nostra legge di iniziativa popolare e dopo un anno esatto dall’inizio della discussione in commissione è del tutto evidente che ora è solo questione di volontà politica: se si vuole approvare la legge prima che passi invano anche questa legislatura, adesso è il momento”.
La decisione del rinvio arriva proprio nel giorno in cui un nuovo caso di cronaca mette benzina sul fuoco del dibattito. Lunedì scorso a Montebelluna, in provincia di Treviso, Dino Bettamin, 70 anni da 5 malato di Sla, ha chiesto e ottenuto che venisse esaudito il suo ultimo desiderio: “Dormire fino all’arrivo della morte, senza più soffrire”. È stato sottoposto ad una sedazione profonda palliativa (prassi utilizzata con i malati oncologici terminali) e nel pomeriggio è deceduto a seguito di un arresto cardiaco, senza aver staccato la respirazione artificiale e l’idratazione.
Un caso che farà molto discutere e che rischia di far tornare il clima rovente come otto anni fa ai tempi di Eluana Englaro. Proprio il papà Beppino, in occasione dell’anniversario della morte della figlia (scomparsa a Udine il 9 febbraio 2009), ha ricordato come la legge sul biotestamento “prima o poi andrà fatta, perché l’opinione pubblica la vuole e quindi il Parlamento deve farla, anche se ha già dimostrato di non avere la volontà e la capacità di affrontare il tema del fine vita”.
A risponderle è Eugenia Roccella, deputata di Idea, che nel dibattito innescato durante gli anni di Eluana si era sempre schierata con le tesi “Pro Vita”. “Dopo tanti anni in Parlamento – afferma la Roccella – di nuovo si propone la morte per fame e per sete come vessillo dell’autodeterminazione, come se si trattasse di un irrinunciabile diritto. Ricordando Eluana la parola diritto ci sembra tragicamente fuori luogo”.
Ad innescare le polemiche in queste ore è intervenuto anche il Vaticano, con le parole di monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi che è andato giù pesante contro il Ddl in discussione: “È una falsa compassione quella che priva della volontà di affrontare la sofferenza e di accompagnare chi soffre e porta alla cancellazione della vita per annientare il dolore, stravolgendo, così, lo statuto etico della stessa scienza medica”, ha detto il Vescovo secondo cui “oggi non si accetta più la condizione di malattia e la stessa morte come una possibilità concreta della vita” è la sua riflessione, condivisa anche dal professor Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione medici cattolici italiani che sottolinea come “l’orientamento contenuto nella proposta di legge determina una frattura dolorosa di quel rapporto fiduciario che si sviluppa tra il medico che offre, in scienza e coscienza, opzioni terapeutiche al bisogno di salute del malato, e quest’ultimo che, a sua volta, chiede accoglienza e condivisione della propria condizione di sofferenza”.
Il Ddl così com’è, spiega ancora il professor Boscia “non può non destare grave preoccupazione il possibile stravolgimento del rapporto tra medico e paziente quando si prevede che il medico debba svolgere una mera funzione notarile rispetto alle volontà manifestate dal paziente o da un suo fiduciario”.
Ad entrare nel merito del Testamento Biologico è anche la “Nuova Carta degli operatori sanitari” messa a punto dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute che su idratazione e alimentazione non lascia dubbi: “la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio” e in ogni caso, precisa la Carta, “la sospensione non giustificata della nutrizione può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico”.
Al di là delle dichiarazioni di intenti la strada è tutt’altro che in discesa, visto che una volta incardinato alla Camera il testo dovrà essere dibattuto e votato per poi fare lo stesso giro, con le medesime se non peggiori difficoltà politiche, al Senato.
@PiccininDaniele