“Il Testamento Biologico non deve essere e non sarà una legge eutanasica” e quanto ad un possibile rinvio del dibattito in Aula “ho chiesto un cambio di passo insieme alla garanzia di una discussione approfondita dei punti centrali”. A sostenerlo è Mario Marazziti, esponente di Democrazia Solidale – Centro Democratico e presidente della Commissione Affari Sociali della Camera. Da oltre un anno lavora per portare alla Camera un testo il più possibile condiviso che parta dal presupposto del favor vitae ed escluda ogni forma di eutanasia anche passiva.
Presidente Marazziti, in questi giorni tutti i fari sono puntati sul lavoro che state portando avanti sul ddl sul Testamento Biologico. Di recente Lei ha spiegato che è stato necessario tagliare circa 2.500 emendamenti ostruzionistici. Ne restano 288 sui quali si è fatto garante proprio perché entrano nel merito della legge e lei ritiene doveroso discuterne.
“Quando, circa un anno fa, abbiamo incardinato i 5 o 6 disegni di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento agli Affari Sociali, è iniziato un lavoro imponente. Le proposte sono diventate 16, abbiamo fatto 47 audizioni a 360 gradi, entrando in una materia delicata senza pregiudizi. Il Comitato Ristretto coordinato dalla relatrice Lenzi, cui hanno partecipato tutti i Gruppi per 9 sedute, ha maturato un testo-base unificato, ovviamente acerbo, ma davvero costruito insieme, anche se alla votazione finale – erano però appena passati due giorni dal Referendum costituzionale – che è stata all’unanimità per quel punto di partenza, mancavano Ncd e Lega. Non sembrava un segnale politico, visto che all’elaborazione di quel testo Area popolare aveva partecipato. Poi, quando è stato calendarizzato per l’Aula, sono invece arrivati 3200 emendamenti, 2800 ammissibili. Non ne è stato tagliato nessuno. Ho proposto ai Gruppi di entrare nel merito, di rinunciare agli ‘ostruzionistici puri’, di segnalare quelli principali. Rispetto al centinaio che a norma di regolamento era normale accettare, ho voluto che nessuna sensibilità venisse compressa, né culturale né politica. Siamo così arrivati ad accettarne 288, ampliando molto le disponibilità del Gruppo Misto e non solo, per dare la possibilità a sensibilità come quelle rappresentate dall’on. Roccella, o Binetti, o Gigli e altri, di avere lo spazio necessario. A fronte di una accettazione all’unanimità della mia proposta, ho scritto e ottenuto dalla Presidenza della Camera e dei Capigruppo tre settimane in più per esaminare il provvedimento”.
Come avete lavorato? A che punto siamo? Si farà in tempo per il 20 febbraio a portare il testo in Aula?
“Abbiamo fatto circa 40 votazioni, 8 sedute, in 22 ore. Ho chiesto un cambio di passo. In questi casi si possono fare anche delle sedute notturne, come è stato deciso nell’ultimo Ufficio di Presidenza, ma non mi pare una materia adatta alle ‘notturne’. Staremo a vedere”.
Sul Fine Vita, come su quasi tutti i temi etici, l’Italia è culturalmente indietro rispetto ai Paesi europei e non solo. Ogni volta che il risultato sembra vicino qualcosa all’improvviso impedisce al Parlamento di fare una legge che, secondo recenti sondaggi, è richiesta da oltre il 70% degli italiani. Perché siamo così restii a parlare di questi argomenti?
“Difficile stabilire ciò che è indietro e ciò che è avanti, nemmeno con una democrazia dei sondaggi. Se ci fosse un referendum per abolire tutte le tasse magari il 70% sarebbe favorevole. Poi l’Italia morirebbe. Le leggi servono proprio per difendere dalle ventate di moda o dagli istinti una società. Per questo c’è una legge, e tutta l’Europa ce l’ha, che vieta la pena di morte. In tempi di social media e di ‘verità alternative’ è molto difficile avere contezza della complessità di questa materia a partire da casi-limite. Non penso che ci sia reticenza o resistenza a parlare di queste questioni. Bisogna cercare di non farne un ulteriore fatto divisivo in una società di forti contrapposizioni e frammentata”.
Parlando ad Ofcs.report l’on. Roccella ha mosso diverse critiche al testo che state discutendo ma soprattutto ha denunciato il disegno di Matteo Renzi di voler accelerare la discussione sul testo per creare in Aula una spaccatura nella maggioranza che sostiene il governo Gentiloni e far cadere l’esecutivo. E’ uno scenario possibile o crede che il testo che uscirà dalla sua commissione potrà contare su una solida maggioranza in Parlamento?
“L’on. Roccella ha un’opinione molto personale e non verificata. A me non risulta. In ogni caso le cose evolvono molto in fretta e restano confuse. Se l’ipotesi di elezioni a breve sparisce dall’orizzonte, anche quella spiegazione cade. Il Paese non ha bisogno di spaccature. Leggi difficili come questa sono rimaste indietro. Al Senato, per esempio, aspetta da quasi 500 giorni la legge sulla cittadinanza, lo ius soli temperato e lo ius culturae, a cui tengo e per cui ho lavorato molto, e che abbiamo approvato alla Camera 450 giorni fa – in attesa di ‘tempi migliori. Il tema delle DAT si muove tra due opposti. Chi sostiene la totale libertà di scelta della persona, sia quando è sana sia quando ha una malattia degenerativa o in fase terminale, e chi rifiuta l’idea della professione medica come quella di un esecutore testamentario. C’è poi il problema, decisivo, di cosa vuol dire garantire dignità al morire. E una legge deve essere sempre chiara sul ‘favor vitae’, anche quando legifera sui confini del non abbandono, della rinuncia o rifiuto delle cure, sulla necessità di evitare l’accanimento terapeutico, di combattere il dolore, la sofferenza, l’isolamento. C’è il tema della idratazione e nutrizione assistite: se siano solo un atto terapeutico e sanitario o anche assistenziale. Trovare un punto ampiamente o mediamente condiviso è possibile, ma la maggioranza attraversa le coscienze. A mio parere la scelta per un ‘diritto mite’, che eviti la possibilità anche implicita dell’eutanasia, può essere la strada”.
Entrando nel merito, ci sono stati miglioramenti, nella direzione che lei dice, del testo iniziale, dall’inizio delle votazioni?
“Io credo che il modo in cui inizia adesso il testo che andrà in Aula, il riferimento all’obiettivo della legge che “tutela la vita e la salute dell’individuo”, mentre conferma che “nessun trattamento può essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata”, citando sia gli art. 2, 13 e 32 della Costituzione sia la Carta fondamentale dell’Europa, radicalmente dalla parte della inviolabilità della vita e della dignità umana, possa rassicurare tutti e chiarisce l’ambito. Abbiamo poi riscritto e approvato l’art. 2 sui minori e gli incapaci, che riguarda anche chi non può decidere da solo, gravemente disabile o non autosufficiente, che sgombra il campo da questo. Introdurremo un sostegno psicologico adeguato che aiuti a capire se decisioni terribili possano essere influenzate da stati di depressione o disperazione (in questo senso il consenso deve essere sempre “libero” e “informato”). E ieri è stato riformulato il comma 7 dell’art. 1 che rispetta le prerogative del medico assieme alla libertà del paziente”.
Sempre nel merito del Testo, uno dei punti più delicati è la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione inserita come opzione nella Dat. Un tema su cui il Vaticano si è schierato nettamente contro e che la Nuova Carta degli Operatori Sanitari, presentata qualche giorno fa, invita a “non equiparare ai trattamenti sanitari e soprattutto a non ridurre il medico a mero esecutore della volontà del paziente”.
“Il testo ha considerato all’articolo 1, sul consenso informato, questo tema. Siccome una persona in grado di intendere e di volere può già rifiutare qualunque intervento sul proprio corpo – per esempio può non fare più la dialisi, il che porta alla morte – l’esplicito riferimento che include anche l’idratazione e la nutrizione assistite a mio parere non è necessario e suona per molti come divisivo. Il problema tornerà nelle DAT. Io penso che nell’alleanza terapeutica anche decisioni difficili come questa trovano una soluzione. Il testo recentemente approvato dal Vaticano nella “Carta” ricorda che “la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio”. Qui non c’è alcun accanimento terapeutico. Non c’è niente che non possa essere condiviso da un pensiero ‘laico’. Si usa la parola “cure”, che potrebbe non piacere a chi sostiene che fanno parte del minimo assistenziale: bere, mangiare, un letto. E lo scontro è tra chi dice: sono pratiche assistenziali, quindi non rientrano tra le cure che il paziente può rifiutare, e chi invece le ritiene pratiche terapeutiche, anche se solo idratazione e alimentazione: perché richiedono un intervento chirurgico complesso, a volte, perché se ci sono complicazioni il sanitario è sempre ritenuto responsabile. Avevo presentato un emendamento su cui c’era un’ampia convergenza, ma non maggioritaria, che poi è stato respinto e che andava in questa direzione. Ne verrà recuperata la parte che prevede un adeguato sostegno psicologico, per evitare che siano stati depressivi a determinare decisioni così importanti, ma credo che fare riferimento alla “proporzionalità”, piuttosto che entrare nello specifico, sarebbe meglio, anche in Aula. Proprio perché vi sono casi più vari – e la vita non può essere tutta racchiusa in una legge – in cui alcuni trattamenti possono risultare, appunto, “troppo gravosi o di alcun beneficio”. Se su questo punto non si vuole ‘vincere’, io penso che ci siano ancora gli spazi, anche in Aula. Che il medico non possa essere un mero esecutore va da sé, così come va da sé il fatto che bisogna evitare ogni paternalismo medico o sanitario, specialmente verso chi vive una condizione di maggiore debolezza e fragilità della vita. L’articolo 4, sulla “Pianificazione condivisa delle cure”, che nasce dalla mia proposta di legge, prova a essere innovativo proprio su questo terreno. La relatrice e il Comitato Ristretto su questo si sono ritrovati”.
L’altro punto su cui il dibattito è molto acceso è il Consenso Informato e il ruolo dei medici. Per l’associazione Medici Cattolici, ma in generale per la maggioranza degli esponenti del cosiddetto movimento “Pro Vita”, sarebbe opportuno compensare nel testo quello che ritengono uno squilibrio tra la volontà del paziente e la professionalità del medico. La loro proposta è di inserire una clausola che garantisca il primato della coscienza e la possibilità di testimoniare il ‘favor vitae’. Lei sarebbe d’accordo?
“Una clausola di coscienza può essere necessaria se rimarrà il dubbio che, anche in modo implicito, possano esserci situazioni di eutanasia passiva dentro il testo finale. Altrimenti non è necessaria, visto che non è e non deve essere una legge ‘eutanasica’. Comunque potrebbe essere la struttura sanitaria e non il singolo esercente la professione sanitaria a fare i conti, in casi estremi, con la volontà confermata del paziente. Il ‘favor vitae’ è scritto a chiare lettere all’inizio del nuovo testo. Ma la “Pianificazione condivisa” indica un altro percorso, ignoto finora anche all’opinione pubblica che si schiera e dibatte: si riferisce a quando un problema, una malattia degenerativa avvia un rapporto terapeutico nuovo e si crea una nuova alleanza e un rapporto continuato. Questo supera le DAT e la contrapposizione tra medico e paziente”.
In molti, tuttavia, sbandierano lo ‘spettro’ dell’eutanasia, sostenendo che con questa legge si voglia aprire in Italia il percorso della ‘dolce morte’ assistita. Questo testo potrebbe fare da apripista all’eutanasia?
“E’ una cosa lontana dalla volontà della relatrice, dalla mia, da quella di molti, anche nel Pd. Questi temi sono complessi. C’è un piano inclinato molto facile perché la nostra società ha perso un senso chiaro del limite. Ciò, a mio parere, si sta diffondendo prima e indipendentemente da questa legge. Anche per questo, forse, è meglio arrivare al testo migliore possibile rispetto alla non-legge degli ultimi 20 anni, mentre si è allungata la speranza di vita, è cambiata l’organizzazione sociale, è cresciuta la solitudine, il disagio mentale, la forza della società dell’apparire sull’essere. Una cosa per me è certa: essere moderni e ‘avanzati’ passa per ritrovare in maniera intelligente il senso del limite e aiutare tutti ad accompagnare e a essere accompagnati meglio nella vita, nella fragilità, nel morire, fino all’evento conclusivo della morte. Senza abbandono, con meno solitudine, con affetto. Una legge può e deve andare nella giusta direzione. Ma non è che perché non sappiamo più accompagnare e stare vicino ai nostri cari che dobbiamo fissare in una legge ciò che libera la società dal problema. Potremmo decidere chi vince tra medico e paziente, ma saremmo tutti più soli e disperati lo stesso”.
Con l’avvicinarsi della scadenza sale l’attenzione mediatica e si moltiplicano gli appelli. Nei giorni scorsi è toccato al papà di Eluana Englaro che ha raccontato l’agonia vissuta con la figlia e il “deserto che si è trovato intorno”. A destare scalpore è stato poi l’appello di Dj Fabo al presidente Mattarella, che ha chiesto di fare in fretta. Queste ‘pressioni’ servono a tenere alta l’attenzione o rischiano soltanto di alimentare le divisioni e di alzare i toni di un dibattito che fino a ora sembra essere stato costruttivo?
“Non si fa mai una buona legge sulla base di pressioni. O meglio. Tutto è utile per pensare, ma non sono i ‘casi’ – che quando arrivano all’opinione pubblica diventano più forti di migliaia di altri silenziosi e ignorati – quelli su cui si deve basare un legislatore saggio. Sarebbe meglio che una legge come questa non dovesse risentire delle pressioni delle parti, spesso politiche o ideologiche, da qualunque parte. A volte gli stessi termini o punti di riferimento sono ‘vecchi’ o sedimentati in una rappresentazione dell’altro che non aiuta a trovare il punto comune. Quanto alla storia dolorosa di Dj Fabo, ha poco a che vedere con la legge in discussione, qualunque possa essere il testo finale. La sua richiesta, in Europa, verosimilmente troverebbe riscontro solo in Svizzera. Anche in Belgio e in Olanda, se ho capito bene la sua situazione, quella richiesta di “fare presto” potrebbe rientrare nel caso del suicidio assistito”.
@PiccininDaniele