Non deve sorprendere che nel 2017, in Italia sia ancora inimmaginabile pretendere che il diritto alla libertà inviolabile della persona, uno dei capisaldi fortemente voluto dai nostri Padri costituenti, venga applicato e rispettato sulle questioni etiche. Il caso del testamento biologico è quello più emblematico ma l’elenco, a volerlo stilare, sarebbe lunghissimo e ricco di vicende assai delicate.
A bloccare sul nascere ogni dibattito politico e culturale, dalla bioetica alle biotecnologie, dai matrimoni gay alla fecondazione eterologa, più che un’omertà imposta da chissà chi, sembra essere una sindrome di Peter Pan che improvvisamente colpisce la stragrande maggioranza degli italiani. Un complesso che ci vuole tutti ancora bambini, quindi con poca voglia di guardare al futuro e con scarsa consapevolezza che su molti temi è giunto il momento di dibattere per trovare dei compromessi, soprattutto per le generazioni future.
L’Italia invece è il paese dei balocchi, quello in cui tutti hanno sempre qualcosa da dire e da insegnare su ogni cosa, ma nessuno ha mai il coraggio di confrontarsi, “sporcandosi le mani”. In queste ore, in una delle tante commissioni della Camera dei Deputati, si sta discutendo il testo di legge che ha come obiettivo quello di normare il tema del fine vita, ovvero come equilibrare il diritto alle cure mediche con la volontà di un paziente di rinunciarvi. Un tema che in moltissimi paesi del mondo, come vorrebbe il buon senso ma anche una normale esigenza legislativa, è già definito da norme chiare, decise da chi negli Stati moderni detiene il mandato a legiferare: il Parlamento.
In Italia, invece, sulle questioni etiche la politica volta le spalle ai cittadini, finge di non vedere, non sapere, non capire, ma quello che è ancora peggio, finge di litigare pur di non arrivare mai a dare le risposte che la gente si aspetta.
Capita quindi che a decidere come debba concludersi la vita di un essere umano che chiede di farla finita per le troppe sofferenze sia la Magistratura, quella spesso bistrattata dai politici, ma che più di una volta giunge a sostegno o, meglio, in surroga di chi dovrebbe, invece, per competenza, decidere.
È il caso di una sentenza emanata a luglio 2016 dal Tribunale di Cagliari, attraverso la quale il giudice tutelare, Maria Luisa Delitala, ha accolto la richiesta di Walter Piludu. L’ex presidente della Provincia di Cagliari malato di Sla, desidererebbe vedersi interrotto ogni trattamento che lo tenga in vita, ventilazione e nutrizione incluse. Una sentenza che ha permesso all’Asl di inviare i medici dal paziente per sedarlo, aprendo così le porte alla “dolce morte”.
Una storia incredibile, ma non per l’Italia, dove spesso capita che, se la politica non vuole fare il suo dovere, è la Magistratura a dettare le regole.
Eppure non serve essere un esperto giurista per rendersi conto che la legislazione vigente non è totalmente priva di riferimenti normativi sui temi etici. La Carta Costituzionale, infatti, in diversi articoli dice chiaramente che, come per ogni trattamento sanitario, sia necessario il consenso dell’individuo. A questo consenso corrisponde di riflesso un legittimo dissenso, anche se questo determina un pericolo potenziale o reale per la vita dell’assistito.
A sancire il diritto al consenso o al dissenso sarebbe l’articolo 32 della Costituzione e l’articolo 13 secondo cui “la libertà personale è inviolabile”.
Tali principi, in assenza di una normativa, trovano accoglimento nella “Convenzione di Oviedo”, firmata dall’Italia nel 1997 e ratificata dal Parlamento nel 2001 con la legge numero 145.
L’articolo 5 di tale Convezione recita: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona abbia dato consenso libero ed informato (…) La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.
Basta mettere il naso fuori dalle Alpi per osservare che in molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti, nutrizione e idratazione sono considerati trattamenti sanitari, non mezzi per il mantenimento della vita. Il paziente cosciente e capace può dunque rifiutare i trattamenti anche se di sostegno vitale.
In Europa non esiste ancora una disciplina sul testamento biologico recepibile dagli Stati membri, alcuni dei quali, comunque, hanno adottato autonomamente normative in materia.
In Belgio dal 2002 è prevista l’eutanasia, su richiesta esplicita del paziente. Ai cittadini viene riconosciuta anche la possibilità di predisporre un testamento biologico con dichiarazioni anticipate di trattamento, scegliendo a quali cure sottoporsi e quali rifiutare.
In Danimarca, con una legge sul “living will”, è stata istituita un’apposita “Banca dati elettronica”, che custodisce le direttive anticipate presentate dai cittadini. In caso di malattia incurabile o di grave incidente, i danesi che hanno depositato il testamento medico – documento che ogni camice bianco è tenuto a rispettare – possono chiedere l’interruzione delle cure e dei trattamenti e di non essere tenuti in vita artificialmente.
Guardando alla Francia la regolamentazione del fine vita risale addirittura al 2005, attraverso una legge che riconosce il principio di rifiuto dell’accanimento terapeutico e prevede che possano essere sospesi o non iniziati gli atti di prevenzione, indagine o cura che appaiano inutili, sproporzionati o non aventi altro effetto che il mantenimento in vita artificiale del paziente.
In Germania, pur mancando una normativa, il testamento biologico trova attuazione nella pratica e conferma nella giurisprudenza. La Corte Suprema federale, infatti, aveva emesso nel marzo 2003 una sentenza con la quale dichiarava la legittimità e il carattere vincolante della “Patientenverfuegung”, termine tedesco che sta per volontà del paziente, riconducendola ‘al diritto di autodeterminazione dell’individuo’. Se non c’è volontà scritta, decide il giudice tutelare.
Stesso discorso in Gran Bretagna, dove il “living will” è riconosciuto fin dal 1993, da una consolidata giurisprudenza che ha anche fissato alcune condizioni per la validità del testamento biologico.
L’Olanda è notoriamente il primo Paese al mondo che, nel 2001, ha modificato il Codice penale per rendere legali, in alcune circostanze rigorosamente normate, sia l’eutanasia che il suicidio assistito dal medico. Questa normativa contiene anche la disciplina relativa al testamento biologico.
Nella cattolicissima Spagna, infine, le norme sulle dichiarazioni anticipate di volontà sono contenute all’interno di una più ampia legge sui diritti dei pazienti entrata in vigore nel 2003.
Dal confronto con gli altri Paesi l’Italia si conferma quindi saldamente indietro quanto a legislazione, dibattito sociale, consapevolezza culturale.
“Tanta voglia di crescere per poi accorgersi che rimanere bambini è la cosa più bella che ci sia”, dice, appunto, Peter Pan.
@PiccininDaniele