Nell’autunno 2015 l’antiterrorismo individua un gruppo di tunisini arrivati a Torino richiedendo un permesso di soggiorno per motivi di studio, iscrivendosi presso la locale Università attestando titoli non veritieri e richiedendo la relativa borsa di studio che azzerava le tasse universitarie. Pur non frequentando le lezioni dell’ateneo e non sostenendo alcun esame del corso di laurea, i tre avevano dimostrato grande abilità nell’inserirsi nel tessuto sociale, soprattutto tra i i giovani, dedicandosi per lo più alla commissione di reati legati al traffico di stupefacenti.
Parallelamente avevano aperto profili Facebook i cui contenuti inneggiavano chiaramente all’Isis e, condividendo materiale propagandistico jihadista e intessendo rapporti con altri sostenitori del Califfato, avevano aderito alla fazione Ansar al Sharia, operante nel Maghreb e in Tunisia in particolare, alleata del Daesh. I tre si vantavano di aver partecipato a Tunisi a un comizio del leader dell’organizzazione, Abu Yiad, mente degli attentati al museo del Bardo, durante il quale erano presenti anche altri noti esponenti salafiti operanti in Italia.
Ma l’ammirazione e il sostegno espressi sul web ai terroristi dell’Isis, non era abbastanza per due del gruppo, tanto che Labidi Wael e Zeddini Khaled appartenenti alla cerchia degli indagati erano partiti per la Siria come foreign fighters, morendo in operazioni condotte in medio oriente dal Daesh.
Un altro elemento del gruppo individuato e identificato per Chihahoui Bilel, è stato espulso nel 2016 con decreto del ministro dell’Interno, perché nel mese di agosto dello stesso anno, aveva postato su Facebook un epitaffio che faceva trasparire la possibilità di un suo “martirio”. Nel messaggio in lingua araba, ringraziava i genitori, gli amici stranieri e tutti i suoi amici morti come martiri (shahid), e, nell’esaltare l’eroismo dei combattenti salutava tutti sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte.
Mentre le indagini proseguivano, uno dei soggetti si allontanava dall’Italia e altri tre identificati per Afli Nafaa, Ben Saad Marwen e Mejri Bilel venivano arrestati per traffico di sostanze stupefacenti in regime di custodia cautelare, nelle province di Pisa e Varese.
Nell’ambito dell’indagine convenzionalmente chiamata ‘Taliban’, in relazione al gruppo di tunisini individuati dall’antiterrorismo, nel maggio del 2017 la Procura di Torino aveva richiesto al gip l’emissione di un provvedimento cautelare nei confronti di Afli, Ben Saad, Mejri, Chihaoui e Tebini Bilel per reati legati ad attività terroristiche, ma il successivo mese di giugno, il gip aveva però rigettato tale richiesta con la formula «il gip concludeva, infine, per la sussistenza di condotte che, ‘per quanto espressive di una forte pericolosità sociale di tutti gli indagati, rimangono nell’ambito di una nebulosa e non inequivoca fase di possibile progressiva radicalizzazione ed estremizzazione e non varcano (allo stato) la soglia del penalmente rilevante’, pur dovendosi mantenere ‘massimi controlli di pubblica sicurezza nei loro confronti’».
A fine giugno, contro il rigetto del giudice per le indagini preliminari, la Procura aveva proposto appello al Tribunale del Riesame che, dopo l’udienza dello scorso mese di ottobre, aveva completamente ribaltato il rigetto del gip, applicando così la custodia cautelare in carcere a tutti i cinque indagati.
Ma in questo sventurato Paese, il Codice di procedura penale prevede che il provvedimento cautelare non acquisisca efficacia prima che, alternativamente, siano scaduti i termini per ricorrere in Cassazione o, se proposto il ricorso alla Suprema Corte, questa non lo abbia respinto. Ergo, due degli indagati, Chihaoui Bilel e Tebini Bilel non avevano proposto il ricorso e cosi che nei loro confronti l’ordinanza del Riesame era divenuta esecutiva nel mese di dicembre, ma nel frattempo, trovandosi entrambi all’estero, non è stato possibile applicare loro la misura della custodia cautelare.
Cosa che, fortunatamente, è riuscita nei confronti di Afli Nafaa (27 anni), Mejri Bilel (26 anni) e Ben Saad Marwen (31 anni), ritenuti gravemente indiziati del reato di associazione finalizzata al terrorismo internazionale, che rimarranno quindi in carcere. Accontentiamoci.