Andrea Manciulli, parte il seminario congiunto dell’assemblea parlamentare della Nato, di cui lei è presidente per la delegazione italiana. Molti i temi che si affronteranno in questi incontri. Partiamo dalla situazione del Medio Oriente, dalla Siria. Dove siamo arrivati? A che punto siamo?
“In Siria ci sono due problemi che convergono, ma che hanno un andamento separato. In primis sia per me che per la Nato c’è il contrasto. La lotta al Daesh, quella in loco allo Stato islamico che si è costituito, ha avuto negli ultimi mesi dei segnali positivi: la strategia di colpire alcuni leader principali del movimento ha avuto dei successi. Hanno dato un colpo all’organizzazione, allo stesso tempo va avanti per merito anche degli italiani l’addestramento delle truppe e della polizia irachene nelle nostre mani. Anche per il miglioramento ed efficacia della strategia, le forze irachene che hanno avuto successi. Non ultima l’iniziativa per conquistare Mosul, senza dubbio il segno di un sempre più grande componimento per una sconfitta territoriale di Daesh. Bisogna fare attenzione, questa sconfitta non sconfiggerà il terrorismo, ma forse ci sarà anche un incremento. Dall’altro lato c’è la vicenda siriana in senso politico di confronto aspro, che riguarda la guerra civile siriana che ha avuto un’accellerazione quando i russi se ne sono occupati in sostegno ad Assad. È evidente che la vicenda di Aleppo ha un tratto estremamente serio perchè pone un nodo politico. I rapporti si sono rotti, la distanza tra l’America e la Russia è forte ed è importante il ruolo dell’Italia all’interno della Nato per favorire la riapertura del dialogo”.
A proposito di ferite aperte, quella più grande con radici nel passato è la Libia che vive una realtà complicata e difficile. Un luogo dove la guerra è all’ordine del giorno. L’Italia in Libia ha un ruolo fondamentale, ma per il nostro Paese è anche una spina nel fianco, visti anche i sequestri alcuni finiti male. La sicurezza della Libia è anche la sicurezza dell’Italia?
“La Libia è una delle grandi priorità del nostro Paese. Vicina all’Italia, abbiamo interessi evidenti perché parliamo di una zona che è sempre stata legata al nostro Paese. Siamo quelli che conoscono meglio la situazione libica. Tanto che se la nostra linea nel passato avesse prevalso, probabilmente la vicenda libica sarebbe stata meno complicata. Il problema è non ripetere errori già commessi, per questo la nostra alleanza è fondamentale. Oggi stiamo imbracciando una linea giusta che è quella di fortissimo sostegno alla costituzione di un governo nazionale. Il problema è sempre stato tenere insieme un progetto nazionale e da quando non c’è più questo progetto l’insicurezza è cresciuta esponenzialmente, è aumentata la diffidenza delle tribù. Se noi non riferiamo il contrasto all’ autorità nazionale libica, non otteniamo due cose fondamentali per tirare fuori la Libia da questa situazione: la prima è la vicenda economica. Fino a che la Libia non è pacificata non può approfittare delle sue ricchezze. Questa per la sicurezza è la priorità numero uno. Perché se al terrorismo si intrecciano traffici di essere umani, traffico di stupefacenti e armi, si crea un’ economia parallela e si rischia di creare in questo Paese uno scenario simile all’Afghanistan, quando i talebani e terrorismo si sono legati al traffico degli stupefacenti, che hanno un enorme peso sull’ economia clandestina. Un Paese che non può fare economica buona, per forza finisce nelle mani di chi le risorse le fa circolare. La nostra linea è quella di far partire un Governo che dia un’economia solida, perchè la può avere. Poi esiste il problema della Libia unita. Le spinte di sostegno anche al Governo di Tobruk, al generale Haftar, esistono e sono effettive e in qualche modo rallentano il successo. Dobbiamo favorire dialogo e soluzioni e con chiarezza dobbiamo andare verso una politica unita”.
In questi ultimi mesi si parla di caos libico, l’unico motivo del continuo flusso di migranti che dalle coste nord africane di muovono verso l’Italia. La settimana scorsa l’Unione Europea ha annunciato l’apertura della Guardia Costiera Europea. Che cosa cambierà? Frontex esisterà ancora? Cambierà nome? Per l’Italia l’afflusso dei migrati che destino avrà?
“Il problema dell’immigrazione non è solo in Libia e non è solo in mare. Oggi ci preoccupiamo del problema in mare ma quello è solo il tratto finale di un tratto che inizia molto prima, in posti molto lontani. È il frutto di scenari come il Corno d’Africa e la Somalia, che non passano dal Mediterraneo. Pensiamo al numero dei pakistani: è impressionante. Noi dobbiamo pensare di contrastare queste cose a terra e combattere il traffico di esseri umani in ogni angolo. La Guardia Costiera Europea se va avanti è positivo. La Nato ha dato un segnale di disponibilità occupandosi di Egeo, Turchia e Grecia. Noi italiani stiamo facendo un lavoro egregio con la nostra marina nel Mediterraneo. Ci sono Paesi al quale dobbiamo molto come la Giordania e il Libano, che stanno avendo un flusso importante di migranti e sono Paesi molto meno ricchi dell’Italia. Dobbiamo mettere in campo un programma generale e completo e dobbiamo farlo insieme e in questo il nostro Governo si batte. Devo dire, ho sentito molte volte parole saggie dal ministro Alfano riguardo a questo”.
Quando si parla di flussi migratori, non si può non parlare delle infiltrazioni del terrorismo. Esiste un rischio reale e concreto?
“Il problema principale nell’immigrazione non è il terrorismo, perchè i molti che vengono qua hanno problemi economici e vengono con una speranza di lavoro. Il rischio che c’è avviene nella seconda fase, perchè queste persone una volta arrivate, deluse e senza soluzioni, possono finire prima nelle mani della criminalità organizzate e poi in carcere dove trovano forme di protezione dagli jihadisti. Il rischio che c’è tra immigrazione e terrorismo sono i finanziamenti. È evidente che organizzazioni terroristiche si finanziano in vario modo, anche con il traffico di esseri umani, o come combattenti o con le tasse per farli passare. Questo porta risorse e crea un’economia clandestina. Non aiuta che lo si strumentalizzazioni ma bisogna analizzare le criticità vere“.
Parliamo di rischio di radicalizzazione in Europa ma in particolare in Italia. Il nostro Paese è meta di immigrazione da molti anni, non con gli stessi ritmi e intesità che abbiamo visto in Francia e Germania, ma comunque c’è una buona componente musulmana.
“L’Italia è uno dei paesi meno toccati da questo fenomeno. Abbiamo avuto un’ondata importante che aveva soprattutto aspetti logistici organizzativi, della prima forma di evoluzione del movimento qaidista. Attorno a Milano nella vicenda di Jenner, si poteva vedere che c’era uno snodo consistente del mondo qaidista. Bisogna aver chiaro che quella era un’organizzazione terroristica con caratteri clandestini. Si è sempre trattato di fenomeni che non cercavano un radicalismo di massa, ma cercavano di costruire cellule per colpire e organizzare colpi in altre parti del mondo. Ora le cose sono cambiate, Daesh ha incontrato elementi di sicurezza con Saddam, il Daesh può usare tecnologie per diffondere un fenomeno e la radicalizzazione attraverso le nuove tecnologie occidentali, creando un paradosso. Attraverso questo il fenomeno è cambiato profondamente. Oggi siamo di fronte a quasi 50 mila foreing fighter, tutti tra i 17 ai 25 anni, spesso per niente culturalmente formati dal punto di vista dell’islamizzazione. E’ diventata una moda. Bisogna occuparcene adesso e prevenire, non come purtroppo è successo in altri Paesi e per questo stiamo cercando di non minimizzare. Per questo il Governo ha nominato una commissione per il contrasto alla radicalizzazione, perchè oltre alle misure repressive dobbiamo occuparci di prevenzione nei luoghi in cui il fenomeno attecchisce. La legge agisce nelle scuole, nelle carceri. Le scuole sono importanti perchè il Daesh sta avendo successo tra i giovani, molto di più di quanto non ci aspettassimo”.
Al Qaeda aveva un ideologo, era costruita su una filosofia, l’Isis non sembra averlo e pare sia molto più legata alla comunicazione.
“Al- Quaeda e Daesh sono in continuità. Dal punto di vista ideologico il pensiero è lo stesso, ma cambia la metodologia e campo d’azione. Al-Queda era solo terrorismo, si mostrava solo quado voleva colpire, Daesh invece è un mostro mitologico, che ha più teste, se ne uccidi una c’è ne un altra. E’ una guerra convenzionale che serve per costruire uno Stato e il fatto di costruirlo alimenta la guerra mediatica e avere questi video accattivanti ha fatto lievitare la simpatia radicale. Abbiamo assistito ad attentati classici, ma anche attentati da parte di lupi solitari che agiscono senza che nessuno gli abbia organizzato niente. Alla fine abbiamo dovuto introdurre alcuni reati come l’auto addestramento e l’auto radicalizzazione, che prima non erano perseguibili. Ma adesso che esiste questo pericolo abbiamo ritenuto necessario farlo. Non si può sconfiggere il terrorismo senza sconfiggere la guerra mediatica e non si può sconfiggere la guerra mediatica se non si distrugge l’immagine della bandiera di Stato che è diventata la patria di tutti i radicali. Un conto era appassionarsi alle apparizioni di Bin Laden sporadiche, un conto è avere una patria per la quale si combatte”.
Il fronte dei Balcani è interessato anche dal flusso migratorio, ma è un problema aperto come può essere la Libia?
“Nei Balcani rischiamo avvenga la stessa cosa che è successa in Belgio. Ci sono due Paesi, la Bosnia e Kosovo. Quest’ultimo ha circa 3 milioni di abitanti e ha più di 300 foreing fighters e sembra tutto tranquillo. In Bosnia è la stessa cosa. Non ci si chiede perché? È evidente che lì c’è una volontà di investire e di farlo sulle piaghe lasciate aperte dalla questione balcanica, di fare dei Balcani un hub per colpire Occidente ed Europa. È evidente e non aspetterei di occuparmene quando sarà troppo tardi. Daesh ha dedicato un video alla campagna acquisti nei Balcani, è stato prodotto in tutti i dialetti balcanici e inizia trattando la persecuzione dei musulmani nei Balcani e finendo con ‘Daesh è il riscatto di tutto questo’. Si è fatto un video così perchè è un terreno dove si pensa di possano trovare molti proseliti. L’Italia deve essere tra i paesi fondamentali ad aiutare i Balcani e tutta l’Europa deve occuparsene. Per questo abbiamo invitato non solo Paesi arabi ma anche i Balcani (all’assemblea parlamentare Nato, ndr)“.
Per quanto riguarda le elezioni americane, restando in tema di Nato, quello che molti pensano è che la simpatia tra Putin e Trump, qualora quest’ultimo se dovesse vincere, porterebbe a una collaborazione anomala, ad uno sconvolgimento, partendo proprio dalla Nato, un elemento che non gradiscono entrambi.
“Questa cosa la vedo come una follia. Non solo per gli Stati Uniti, dove tra l’altro spero vinca la Clinton, ma anche per la Russia. Il terrorismo islamico c’è anche in Kazakhstan e in Cecenia. Tanti foreing fighters sono in Russia. A mio avviso si avrebbe bisogno di un dialogo per ripartire. Non possiamo accettare nè dalla Russia né dall’America che questo avvenga con la disgregazione dell’Europa, che ritengo sia la maggiore conquista dopo le guerre mondiali. Noi rischiamo di pagare un atteggiamento sbagliato in questa vicenda. Io sono per far valere le esigenze europee. La mia idea è di rilanciare un’idea di Occidente nel dialogo e nel rispetto, visto che in questo momento non è sempre così”.