L’opera di prevenzione svolta dai nostri apparati di sicurezza nelle ultime due settimane è meritoria di vera lode. Da Torino a Foggia, passando per Roma, Napoli e Caserta, i centri di aggregazione degli estremisti islamici operativi nell’ambito dello jihadismo, sono stati passati al setaccio fruttando sicuramente un risultato congruo dal punto di vista dei numeri degli arrestati e, sicuramente, anche dal punto di vista dell’assunzione di informazioni relative alle reti terroriste operanti in Italia e non solo.
Ma da un esame più globale del rischio terrorismo in Italia, emergono alcuni dettagli inquietanti, da non sottovalutare. Proprio oggi il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, intervistato nell’ambito del programma radiofonico “Radio Anch’io”, ha affermato che nel nostro Paese è previsto il ritorno di circa 50 foreign fighters attraverso le rotte percorse dai trafficanti del nord Africa. Inoltre, le modalità utilizzate dai clandestini per muoversi nel territorio, sono tali da rendere praticamente impossibile un’individuazione di “soggetti a rischio”. Il procuratore ha voluto sottolineare come il rischio di azioni da parte dei terroristi si concentri soprattutto nella Capitale, culla della cristianità e obiettivo prediletto per i sostenitori del Califfato.
Ma oltre alle parole poco rassicuranti del procuratore nazionale antimafia, concetti che poco vi si discostano sono stati esposti dal capo della polizia, Franco Gabrielli, ricevuto tre giorni fa in Vaticano dal Pontefice durante l’abituale scambio di auguri pasquali. Nell’occasione, Gabrielli, ha evidenziato l’allarme derivante dalle continue minacce provenienti dall’Isis dirette all’Italia e, in particolare alla Santa sede, riunendole sotto l’espressione di una “minaccia incombente”.
Anche l’attenzione particolare prestata nella preparazione del “piano sicurezza” in occasione della Pasqua, sebbene poco si discosti da quelli predisposti negli anni precedenti, ha evidenziato comunque il rischio elevato relativo ai luoghi affollati.
Parole usuali, ma che con tutta probabilità risentono di qualche segnalazione giunta dai servizi di informazione e che potrebbe essere stata oggetto dell’incontro, neanche tanto misterioso, tra il capo dell’agenzia per la sicurezza estera, Alberto Manenti e il capo del servizio segreto siriano, Ali Mamlouk, avvenuto nello scorso mese di gennaio a Roma.
In generale, se da una parte l’impegno profuso negli ultimi giorni dalle nostre forze di sicurezza è stato elevatissimo, i segnali diretti a ribadire che l’Italia è l’unico Paese a non essere stato colpito dalla follia islamista, quindi, c’è da aspettarselo, sono molteplici e inducono a pensare che l’odio dei seguaci di Isis ed Al Qaeda nei nostri confronti non si sia mai sopito. E la somiglianza dei cognomi dei tunisini arrestati con quello di un altro esponente di rilievo dello jihadismo d’importazione potrebbe riservare ulteriori sorprese. Come le ormai quotidiane minacce sui canali Telegram, anche stavolta dirette a Roma.