Un pentito dell’Isis vorrebbe tornare in Italia dopo aver abbracciato la causa jihadista. Dopo le ultime defezioni di numerosi aderenti all’ex Califfato di Al Baghdadi, successive alla sconfitta militare patita nel teatro siro-irakeno, un altro caso di “pentimento” riguarda da vicino il nostro Paese. Si tratta, questa volta, di Monsef El Mkhayar, 22enne marocchino di cittadinanza italiana, catturato due mesi fa a Baghouz dalle Forze democratiche siriane, appoggiate dagli Usa, e detenuto a Qamishli, in Siria.
Cresciuto a Milano
Cresciuto a Milano tra coetanei dediti alle droghe leggere e alla musica rap, aveva trascorso un anno nelle carceri lombarde per spaccio. Successivamente a un indottrinamento verso i canoni dell’Islam radicale tra le mura del penitenziario, dopo la scarcerazione aveva iniziato a diffondere sul web gli ideali del Califfato, invitando numerosi follower a seguirlo nel viaggio verso la Siria per combattere la jihad. Le indagini degli investigatori hanno presto condotto alla sua identificazione e, nel 2017, il Tribunale di Milano lo aveva condannato a otto anni di reclusione per propaganda terrorista. Ma l’italo-maghrebino si trovava già in Siria con un amico. Successivamente ad un sommario addestramento militare, furono spediti entrambi in prima linea, in concomitanza con le prime sonanti sconfitte dei miliziani dell’Isis.
Il pentimento
Con la ritirata da Raqqa, l’ex capitale dell’autoproclamato Stato Islamico, le truppe fedeli al Califfo continuarono a combattere nella fascia a ridosso del confine irakeno e in quel frangente trovò la morte il coetaneo di El Mkhayar. Sposatosi con una ragazza curdo siriana e padre di due bambine, rimasto oltretutto ferito ad una gamba, il 22enne decide di abbandonare la causa della jihad. Dopo la cattura ha iniziato a sperare in un ritorno in Italia per condurre una vita normale a fronte dell’esperienza vissuta che aveva infranto il sogno di uno Stato islamico in cui credeva di poter condurre un’esistenza in linea con i canoni di un Islam “giusto”. Ma la realtà vissuta nel Califfato, dove i vari emiri violavano impunemente le regole sharaitiche e si accaparravano laute somme di denaro allo scopo di fuggire in Occidente lasciando i propri miliziani a morire per un ideale inconsistente, ha modificato le idee del giovane. Our rimanendo fermamente convinto degli ideali di giustizia e fraternità tra i musulmani, ha deciso di voler cambiare vita. Difficile credere al loro progetto di rivisitazione interiore, anche alla luce delle risultanze investigative che hanno condotto nei confronti di Monsef alla condanna ad otto anni. Nelle intercettazioni captate dagli investigatori, infatti, si diceva fermamente convinto della volontà di immolarsi in nome della jihad. É altresì inquietante la considerazione rivelata dal 22enne alla Reuters nella quale avverte l’Occidente che lo Stato Islamico avrebbe in programma anche una prossima fase, facendo uscire clandestinamente centinaia di uomini per installare cellule dormienti in Iraq e nella Siria orientale pronte all’azione: “Hanno detto ‘Dobbiamo vendicarci'”.
La fuga dei pentiti
La storia di Monsef ricalca quelle di numerosi altri ex miliziani, o sedicenti tali, che dopo la debacle subita sui teatri di guerra dal Daesh hanno improvvisamente rivisto “la luce” desiderosi di ritornare nell’odiato Occidente per ricominciare una nuova vita. Come il caso di una “sposa dell’Isis” che ha chiesto di rientrare in Gran Bretagna pur non rinnegando l’adesione agli ideali propagandati dal Califfo al Baghdadi.