“È necessario distinguere tra la minaccia terroristica e altre minacce, come l’immigrazione irregolare, e la minaccia che potremmo definire di ‘hybrid warfare russo’. Ci sono queste tre tipi di minacce. Per quanto riguarda il terrorismo, i governi europei al principio si sono ritrovati impreparati a questa espansione della minaccia. A partire dal 2014, con l’avvento di Daesh, essi hanno in un certo qual modo cercato di reagire. Gli stessi hanno preso delle misure sempre più incisive, ma in maniera reattiva. L’approccio dunque è stato reattivo, reagendo e prendendo una serie di misure e maggiori controlli, maggiore scambio di informazioni, ecc. Tuttavia, a mio parere attualmente non c’è un approccio strategico, di prevenzione strategica, intendo. Sostanzialmente, una delle cose più importanti da fare è creare una struttura antiterrorismo europea, attualmente inesistente”. E’ quanto spiega ad Ofcs.report il professor Luigi Sergio Germani, esperto nelle questioni di sicurezza internazionale e di politica interna ed estera russa, direttore del centro ‘Gino Germani’ e coordinatore del master in Intelligence alla Link Campus University, di fronte ai terribili atti terroristici e alle minacce che l’Europa ha affrontato tra novembre del 2015 e luglio 2016.
Quali sono stati i principali errori strategici commessi negli ultimi decenni ?
“Gli errori nascono già da tempi lontani. Uno degli errori principali è stata, e continua in qualche modo ad esserlo, l’eccessiva tolleranza nei confronti dell’ ideologia salafita. Per anni e anni è cresciuta in Europa, con i finanziamenti provenienti dai paesi del Golfo, e le è stato permesso di espandersi dopo l’ 11 settembre. Dal punto di vista dell’ intelligence, il monitoraggio c’è stato, ma con un approccio eccessivamente tollerante. In Italia abbiamo un sistema per certi aspetti migliore, mi riferisco ad esempio al sistema Casa( Comitato strategico antiterrorismo) impiantato già dal 2007. Il comitato si riunisce una volta a settimana o anche di più e c’è una piena condivisione delle informazioni, cosa che negli altri paesi ora non è presente. In Italia si è fatto un passo in avanti, il problema è che ci vorrebbe una strategia europea e nazionale di contrasto ideologico, che per ora non c’è. Quindi l’ ideologia islamista dovrebbe essere contrastata anche con strumenti dell’ intelligence, sostenendo altri filoni dell’ Islam non radicali , se necessario in maniera clandestina. Nelle nostre società, purtroppo, è difficile far passare questa idea perché considerata come un approccio antidemocratico, e quindi si è scelta la cosiddetta strada della de-radicalizzazione, per cui i terroristi vengono trattati come “malati psichici”. In Italia è stata istituita dal Governo una commissione di esperti per studiare il problema della radicalizzazione, ma a mio parere bisognerebbe contrastarla prima che un giovane musulmano o non musulmano inizi a radicalizzarsi, intervenire prima. Cosa che per ora non viene fatta in Europa che io sappia”.
Quale ruolo dovrebbe assumere lo strumento militare, in un’ ipotetica nuova strategia di difesa?
“L’errore commesso dall’Europa negli ultimi vent’anni, e in maniera particolare con la crisi economica, è stato quello di lasciare declassare lo strumento militare, tagliare le spese per la difesa, mentre altri paesi come la Russia, ad esempio, hanno pensato ad armarsi sempre di più. E’ necessario reinvestire nell’industria della difesa, creando una struttura di sicurezza europea, ancorata ovviamente all’interno della Nato”.
Non crede che in Europa, come anche in Italia, manchi una cultura della sicurezza che coinvolga sia il comparto politico che quello della società civile? Quali strumenti servirebbero per rafforzarla?
“Giusto, sì. Il problema in Italia è che la classe politica è priva di una cultura della sicurezza, in generale i nostri apparati di sicurezza sono preparati abbastanza bene, ma non c’è un appoggio politico. I servizi segreti britannici, ad esempio, assumeranno nei prossimi anni mille persone, in Italia di tanto in tanto si ricercano analisti, ma a mio parere più che analisti sarebbero necessari“molti operativi”, i funzionari cosiddetti Humint. Gli analisti senza gli esperti Humint non possono fare più di tanto. Inoltre nelle attività d’intelligence antiterrorismo non è possibile fare solo affidamento sulla tecnologia. C’è questa illusione che con la tecnologia si risolva tutto, invece non è cosi. Ci vogliono agenti Humint, presenti ad esempio nelle comunità islamiche in Italia e all’ estero e ce ne vogliono tanti, operanti di diversi settori, non solo nel contrasto al terrorismo, ma anche nella criminalità organizzata, per contrastare lo spionaggio, e le attività di disinformazione messe in atto ad esempio dalla Russia, anche nei confronti del nostro Paese”.
La creazione di un’ agenzia di intelligence europea apporterebbe, secondo lei, un ausilio rilevante?
“Sicuramente, questo dovrebbe essere un passo obbligatorio, bisognerebbe creare un’ intelligence unica contro il terrorismo. Un servizio d’intelligence europeo operante in tutti i settori non è possibile perché ogni paese vorrebbe mantenere la propria sovranità, e tutelare i propri interessi nazionali, mentre per contrastare il terrorismo transnazionale, la creazione di un servizio d’intelligence europeo è necessaria. E’ molto difficile metterla in piedi, ma si finirà per costituirla. Nei prossimi mesi c’ è un pericolo crescente, la sconfitta del Califfato porterà ad un numero elevatissimo di questi “foreign fighters” nuovamente in Europa, che saranno ancora più agguerriti”.
Quali nuove sfide dovrebbero affrontare gli stati membri nell’ elaborazione delle loro future politiche di sicurezza, in modo da renderle più efficaci?
“C’ è la sfida terroristica, alimentata dal caos in Nord Africa e nel Medio Oriente. La sfida dell’ immigrazione irregolare che il nostro governo e anche altri ritengono una minaccia solo se collegata al terrorismo, sbagliano perché l’ immigrazione clandestina di massa sta creando fenomeni destabilizzanti, come la crescita dell’ estrema destra e del populismo e anche l’ erosione dell’ identità nazionale. In Italia abbiamo un grosso problema di identità nazionale, e questo porta a un’indebolimento della cultura della sicurezza nel nostro paese. Un’altra sfida che interessa il nostro Paese è quella della corruzione e della criminalità organizzata, che tendono a indebolire l’efficacia e la legittimità delle nostre istituzioniLa terza sfida è la Russia. A mio parere, Putin persegue una politica estera aggressiva per fronteggiare un problema di crisi interna, come strumento di compensazione per mantenere il consenso interno e il sostegno al regime in una situazione di preoccupante declino economico. Il regime di Putin non è più in grado di offrire alla popolazione russa un miglioramento delle proprie condizioni economiche, ma offre la soddisfazione di essere una grande potenza mondiale che sfida l’Occidente. L’aggressività di Mosca , negli ultimi due anni, ha spesso raggiunto un livello pericoloso. Per esempio, il Cremlino talvolta ha tentato intimidire determinati paesi ricorrendo a minacce nucleari. Infine, va ricordato che oggi in ambito Nato e Unione Europea le nuove e più pericolose minacce sono denominate“hybrid threats” perché sono di natura ibrida, utilizzano contemporaneamente diversi strumenti di aggressione: violenza terroristica, propaganda, operazioni psicologiche. Daesh è un esempio di minaccia ibrida”.