L’insolito arresto di un cittadino gambiano per terrorismo internazionale, avvenuto nei giorni scorsi a Napoli, se rappresenta probabilmente una new entry nel panorama degli jihadisti operanti nel nostro Paese, non può ritenersi una mera eccezione.
Islam in Gambia
Il Paese di origine di Touray Alagie ( che in Italia ha presentato istanza di protezione internazionale, sul cui esito dovrà pronunciarsi la Commissione preposta) è composto da una maggioranza di fedeli musulmani e mantiene stretti rapporti commerciali con i Paesi del Medio Oriente, Siria compresa, facilitati dall’adozione della lingua araba nei programmi di insegnamento statali, voluta dall’ ex presidente Yahya Jammeh.
Le prospettive per il Paese dell’Africa occidentale sembrano buone, anche alla luce del recente cambio della guardia ai vertici politici dello Stato dove, nel 2016, Adama Barrow è stato eletto presidente esautorando dalla carica Jammeh, avviatosi all’esilio dopo più di 20 anni di potere indiscusso in Gambia. Convertitosi all’Islam, aveva tentato la strada dell’istituzione di uno Stato islamico governato dalla Sha’aria, ma il tentativo non ha convinto la popolazione che, pur di maggioranza islamica, ha sempre convissuto pacificamente con le minoranze cristiane ed induiste presenti nel Paese.
Le cause di radicalizzazione di Alagie
Le cause della radicalizzazione di Alagie non andrebbero, quindi, ricercate nella cultura del paese di provenienza del giovane, quanto piuttosto in un sistema di arruolamento non certamente nuovo nel nostro Paese e radicatosi negli anni nel circuito jihadista. Il metodo consta di quattro fasi già oggetto di una nostra analisi: individuazione – incanalamento – istruzione – induzione. Nella galassia islamista esistono soggetti incaricati dai grandi network jihadisti di reclutare, tra le masse di clandestini, galeotti, microcriminali, tossicodipendenti, alcolisti, individui che, sottoposti a un iter di “avviamento” all’Islam più radicale, possano successivamente risultare idonei al compimento delle “missioni”. In questa fase agiscono quelli che possiamo definire “individuatori”. Allo step successivo, quello dell’incalanamento, vengono delegati, almeno nella fase iniziale, i “predicatori”, in molti casi riconducibili al movimento Tabligh eddawa, che sono impiegati al fine di sottoporre i soggetti prescelti al brainwash indotto con una particolare esegesi coranica che rende la dottrina più confacente alle specificità del soggetto.
Il passo successivo avviene solo dopo avere accertato che il soggetto abbia recepito e totalmente assorbito la dottrina che lo dovrebbe rendere idoneo ai compiti operativi. L’addestratore si occuperà, dunque, di conformare l’adepto a un determinato tipo di missione che può comprendere o meno l’utilizzo di armi e/o esplosivi, ma in ogni caso potrà essere improntata sul sacrificio personale del prescelto, il cosiddetto “martirio”. Alla scelta della missione provvederà il capo cellula, colui il quale dovrà anche ricoprire le mansioni di motivatore, adducendo alla missione delegata al soggetto la sacralità delle ragioni per cui essa dovrà essere compiuta e la certezza del sostegno alla famiglia del “martire” in caso di sua dipartita.
Sebbene questi canoni reclutativi possono valere in senso generale per tutti i gruppi riconducibili al fenomeno jihadista, si è da tempo riscontrata, in fase di analisi, una differenza di fondo. Trattando delle due maggiori espressioni del terrorismo islamista, al Qaeda e il Daesh, si rileva che, se per al Qaeda la dottrina da assimilare ha da sempre assunto un’importanza fondamentale nella creazione di un miliziano, per il Daesh essa rappresenta un mero complemento, superato, in ordine di importanza dal rapido passaggio all’azione.
Campanello d’allarme
Di certo, in un periodo in cui lo Stato islamico tenta di mantenere alta l’attenzione sulla sua capacità offensiva, gli stati maggiori del Califfato tenderanno sempre più a delegare un tipo di operazione semplice e a basso costo per la quale l’iter formativo del “prescelto” dovrà essere compiuto in tempi ristretti ed essere seguito a breve dall’esecuzione dell’attacco e dall’immediata rivendicazione.
Dagli attacchi di Parigi e Bruxelles il jihad non ha osservato lunghe pause, se non quelle indotte da una riorganizzazione dei ranghi più alti, successiva all’eliminazione fisica di molti “generali”, ma che non ha riguardato la bassa manovalanza né tantomeno l’apparato logistico schierato in Occidente, che è comunque riuscito a indurre e far realizzare una serie di attacchi mirati condotta con metodi economici e risultati comunque eclatanti.
Le operazioni di polizia che hanno fatto emergere la presenza di cellule o singoli soggetti pronti a immolarsi su sentiero della jihad, rappresenta comunque un campanello di allarme che non deve rimanere inascoltato. Il dualismo al Qaeda -Daesh porterà le due organizzazioni a confrontarsi sul piano operativo-mediatico in una spirale che, inevitabilmente, provocherà altri attacchi in Europa, anche in considerazione del largo e inesauribile bacino a cui attingere per creare nuovi mostri. E il caso di Napoli pare attenersi proprio a questa visione.