L’ordigno depositato accanto alla porta sul marciapiede della caserma dei carabinieri di San Giovanni, nella notte tra il 6 e il 7 dicembre scorso, è suonato come una dichiarazione di guerra allo Stato che ha trovato puntuale conferma nel comunicato di rivendicazione della Federazione anarchica informale. Il gruppo, infatti, poco dopo ha postato sul web una rivendicazione dell’atto e una sorta di promessa dell’intenzione di dare continuità all’azione.
E ieri, 15 dicembre, la molotov lanciata contro l’ingresso del commissariato di Polizia di Roma-Prati, è sembrata una conferma di ciò che i sedicenti rivoluzionari anarchici tengono in serbo per i giorni a venire.
La strategia dell’azione diretta contro tutte le rappresentazioni dello Stato, in primis le forze dell’ordine, prediletta dalle formazioni di estrazione anarchica, può spiegare i due episodi e avvalorare la tesi di un nuovo inizio di una stagione di tensioni, che è certamente connessa con il perdurare della profonda crisi politica ed economica che il nostro Paese sta attraversando e all’incolmabile vuoto ideologico delle formazioni parlamentari. Ma i rischi connessi alla realizzazione di attentati che, più che preordinati sembrano frutto di un ritorno allo “spontaneismo” degli anni più caldi della nostra storia, sembrano voler preparare “l’atmosfera per un evento”. Così recita un capitolo del “manuale di resistenza urbana” titolato “Ricette per il caos” che fornisce precise e specifiche indicazioni affinché l’azione diretta possa essere la premessa dell’avverarsi di un qualcosa di più grosso.
Nella rivendicazione all’attentato contro i carabinieri si trovano ampie tracce che conducono a ipotizzare come, effettivamente, qualcosa si stia muovendo nella galassia anarco-insurrezionalista, soprattutto nella considerazione che “chi non vuole agire giustificandosi politicamente, continuerà a non farlo. Non stiamo aspettando alcun treno della speranza, non aspettiamo tempi maturi. Le condizioni si muovono con lo scontro. Il movimento è tale se agisce, se non sta fermo”.
E che “lo scontro” non sia da intendersi come quello relegato alle piazze durante le manifestazioni, i redattori della rivendicazione lo sottolineano poiché, secondo loro “al contrario degli ‘scontri’ spesso preannunciati da un certo antagonismo, l’imprevedibilità è l’arma migliore contro la società del controllo”.
Da sottolineare anche il rischio derivante da gesta emulative, perorate dal ritenere che “l’azione diretta può servire a mostrare tattiche di cui altri possono appropriarsi per usarle a modo loro; può darsi che per anni queste tattiche servano soltanto a una ristretta minoranza, finché in un periodo di crisi non diventino improvvisamente indispensabili per tutti”.
Dunque gli anarco-insurrezionalisti avrebbero dichiarato guerra allo Stato, alle Istituzioni e al suo rappresentante più esposto, il ministro degli interni Marco Minniti che, nel tentativo di ripristinare un minimo di legalità, soprattutto in relazione al mantenimento dell’ordine pubblico, tenderebbe a conformarsi al pensiero e alle politiche care alla destra che, a parere degli pseudo-rivoluzionari anarchici, rappresenterebbero un arrogante segno di repressione di stampo populista che va combattuto con ogni mezzo.
In relazione all’attentato contro la caserma dei carabinieri, il comunicato di rivendicazione ha voluto ribadire che “con questa azione lanciamo una campagna internazionale di attacco contro uomini, strutture e mezzi della repressione. Ognuno con lo strumento che ritiene più opportuno e se lo desidera contribuendo al dibattito”.
Una vera e propria dichiarazione di guerra contro le Istituzioni che, unita alle preoccupazione legata alle tensioni internazionali e al terrorismo di importazione, rende fosco il panorama dei mesi a venire.