“La politica se ne frega dei diritti degli operatori e cede alle visioni ingiustificatamente conservatrice dei Generali”. É l’accusa lanciata da Eliseo Taverna, attuale Segretario generale del Sinafi – Sindacato nazionale finanzieri – e uno dei leader per il riconoscimento dei diritti, che si batte da circa vent’anni per i finanzieri. Ofcs.report ha deciso di intervistarlo proprio per capire cosa stia accadendo in Parlamento in merito al percorso legislativo che dovrebbe portare verso il riconoscimento della libertà sindacale per le Forze Armate ed i Corpi di Polizia ad Ordinamento Militare.
Perchè, secondo lei, la politica non è interessata alle condizioni dei militari?
“In questo Paese, fatto di luce ed ombre, nemmeno di fronte ad una sentenza storica della Corte Costituzionale che nel mese di giugno dello scorso anno ha riconosciuto, in modo cristallino, l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 1475 del Codice dell’Ordinamento Militare, che vietava la costituzione di organizzazioni sindacali da parte dei militari e l’adesione a quelle già esistenti, la classe politica (Governo ed opposizioni) sta avendo il rispetto verso le esigenze di quel segmento dello Stato che è chiamato a garantire la sicurezza democratica del nostro Paese. La Corte Costituzionale, forte delle recenti pronunce emanate dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà sindacale e richiamando le convenzioni internazionali che regolano la materia (Convenzione 87 OIL e Carta Sociale Europea), infatti, aveva tracciato il percorso entro il quale il legislatore avrebbe dovuto operare per contemperare un giusto bilanciamento tra diritto alla libertà sindacale e i diritti costituzionali attribuiti ai cittadini. Nessuno metterebbe in discussione questo principio pienamente condivisibile: chi garantisce la sicurezza e la difesa del Paese non può certamente scioperare, né attuare azioni sostitutive di esso, né tantomeno manifestare pubblicamente in divisa armati. Ne deriverebbe un detrimento del diritto alla sicurezza ed alla difesa, costituzionalmente tutelato e garantito ai cittadini e si rischierebbe di vedere, agli occhi dei cittadini, minata l’immagine degli apparati. D’altro canto, è quello che è avvenuto anche per il processo di sindacalizzazione che nel 1981 interessò la Polizia di Stato; un Corpo che fino ad allora tutto era tranne che particolarmente democratico e che non garantiva al proprio personale, complice anche il periodo sociale e politico di quegli anni, uno stipendio dignitoso, il diritto pieno al riposo settimanale, una programmazione di massima dell’orario di lavoro, né tantomeno dei diritti costituzionali attribuiti a tutti i cittadini. I bilanciamenti operati dai legislatori di allora, che purtroppo oggi siamo costretti a rimpiangere, hanno garantito al personale della Polizia di Stato di avere organizzazioni sindacali autonome e con capacità concreta di tutelare il personale ma, nel contempo, rispettose dell’operatività degli apparati. Un percorso, che ha portato negli anni forti benefici, sia alle condizioni di lavoro degli operatori di tutto il comparto sia alla collettività stessa, mediante un processo culturale di democratizzazione che ha inevitabilmente interessato anche gli apparati stessi. A distanza di quarant’anni, da quei giorni nei quali Pasolini definiva i poliziotti in occasione degli scontri di Roma a Valle Giulia, “figli dei poveri che vengono da periferie contadine ed urbane”, la Polizia di Stato e le altre Polizie ad ordinamento civile sindacalizzate hanno funzionato brillantemente, consegnando a questo Paese risultati storici nella lotta contro mafie e criminalità in genere e senza mai mettere in discussione l’operatività degli apparati”.
Segretario Taverna perché l’attuale politica, nonostante un giudizio di legittimità emesso dalla Corte Costituzionale, si è concentrata su un testo base presentato dall’On. Corda del M5S che non evidenziava, fin dall’inizio, i requisiti e la strutturazione necessaria per approdare verso il riconoscimento di un sindacato libero e autonomo?
“Dopo l’inaspettata sentenza della Corte Costituzionale hanno preso subito forza, tra tutti i vertici delle Amministrazioni, forti sentimenti di contrarietà all’ipotesi che il mondo militare potesse essere sindacalizzato. Concetti demonizzanti, decontestualizzati e spesso mistificati, hanno iniziato a circolare sia all’interno delle Amministrazioni, sia nei palazzi della politica. Che la legge Corda non fosse proprio l’ottimale era sotto gli occhi di tutti, soprattutto di coloro che hanno seguito e ricercato questo processo di democratizzazione da anni, ma la fretta e le metodologie con le quali si sono affrettati a presentarla ne ha minato subito la qualità del testo. Dopo la presentazione ufficiale ci siamo immediatamente resi conto che molte cose non quadravano, proprio perché era evidente che si trattasse di una legge “al ribasso”. Abbiamo, quindi, cercato in tutti i modi di creare dibattici pubblici e colloqui privati – supportati anche da illustri giuslavoristi e costituzionalisti che, come noi, erano fortemente perplessi sulla bontà di quel prodotto perché non era in linea con l’art. 39 della Costituzione e con il diritto sindacale formatosi in settant’anni – con la relatrice del testo e con tanti altri politici del Movimento, tranne qualche rarissima eccezione, non siamo riusciti ad avere confronti, né tantomeno ad avere l’onore di far partecipare i singoli parlamentari della Commissione Difesa, ai numerosi convegni che abbiamo organizzato sulla tematica, proprio per far ascoltare loro soprattutto le tesi di esperti della materia e far capire in quale direzione fosse corretto dirigersi”.
Mi risulta, però, che i Cocer e le organizzazioni sindacali siano stati auditi dalla Commissione Difesa della Camera dei Deputati, così come lo sono stati i Comandanti Generali e i capi di Forza Armata, nonché esperti di diritto.
“Certamente, ci mancherebbe altro, questo è avvenuto ed è il percorso formalmente democratico che precede l’approvazione di questo tipo di leggi. In ogni caso, la materia è stata trattata con un approccio sbagliato e superficiale dalla politica e, peraltro, in un clima di forte avversione verso questa esigenza di sindacalizzazione. Questo è dimostrato dai concetti che sono stati espressi da tutti i vertici delle Amministrazioni in occasione di queste audizioni, finalizzati non a giungere ad un modello sindacale funzionale e mediato, ma volto a demolire ulteriormente il testo proposto, che già di per sé era fortemente fragile nei contenuti. Hanno chiesto, infatti, nei loro interventi, con concetti espressi che sembravano sincronizzati, di non prevedere la contrattazione di secondo livello, la tutela per i dirigenti sindacali, l’alternanza per legge dei dirigenti sindacali, l’esclusione della maggior parte delle materie dalle competenze delle organizzazioni sindacali, la possibilità di fare sindacato solo dopo diversi anni di servizio, il divieto di avere sedi all’interno delle caserme, l’inapplicabilità dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/70) e persino la necessità di attribuire le competenze a giudicare i comportamenti antisindacali delle Amministrazioni al Tar al posto del Giudice naturale che è quello del lavoro. E’ accaduto qualcosa in più, che è andato veramente oltre il normale gioco delle parti! Le OO.SS. e gli esperti di diritto, invece, hanno ben chiaramente spiegato, ovviamente con una serenità d’animo diversa e che non guardava solo agli interessi sindacali, ma soprattutto alla salvaguardia delle esigenze di operatività e del diritto alla sicurezza e alla difesa dei cittadini, che il modello sindacale da riconoscere non poteva e non doveva essere messo in discussione in quanto la materia è chiaramente disciplinata dall’art. 39 della Costituzione, dal diritto sindacale e dagli articoli 36 e seguenti del Codice civile, che inquadrano il sindacato come organizzazioni libere ed autonome, costituite per la difesa degli interessi dei propri associati. Entro tale perimetro andavano ricercati i bilanciamenti necessari. I giuslavoristi, soprattutto, hanno spiegato ai parlamentari che la libertà sindacale non può assolutamente essere stravolta solo per i militari, né tantomeno il legislatore può intaccare il nucleo essenziale dell’organizzazione sindacale, che trova le sue ragioni, di autonomia e libertà organizzativa, nel già citato art.39 della Costituzione, con l’intento di porre “limiti e condizioni” di applicazione di questo diritto, così come consentito dalle convenzioni internazionali poste a protezione del diritto sindacale. Parole e concetti che purtroppo sono cadute nel vuote facendo prevalere la volontà dei vertici delle amministrazioni ed un’acquiescenza fortemente dannosa verso queste richieste ingiustificate”.
La posizione dei vari partiti di maggioranza, quindi, su questa tematica è stata unanime o vi sono stati alcuni che hanno recepito le vostre preoccupazioni e l’invito accorato ad operare in aderenza all’art. 39 della Costituzione da parte dei giuslavoristi?
“Non solo tutti i componenti dei vari schieramenti hanno mostrato lo stesso approccio e la volontà di non voler licenziare un testo che partisse dallo stesso modello delineato dalla legge 121/81 per la Polizia di Stato, seppur con sfaccettature diverse, ma anche e soprattutto le opposizioni (PD-FI-FDI) che anziché tutelare i diritti delle parti più deboli e contrastare un’azione delle forze di maggioranza profondamente sbagliata, hanno dapprima presentato disegni di legge inadeguati e meno democratici, e successivamente trovato l’accordo con la Lega sull’approvazione di emendamenti che annientano la forza del sindacato militare, inseriscono percentuali di rappresentatività ingiustamente diverse da tutti gli altri, fanno arretrare le tutele conquistate fino ad oggi e delineano un pericoloso precedente per i diritti dei lavoratori in uniforme di questo Paese. Un sistema sindacale completamente distonico, quello che vogliono consegnare, rispetto a quello delle Polizie civili e degli operatori del soccorso, minato e condizionato ingiustamente nel modello organizzativo e nella sua capacità di agire e tutelare, ma pagato dal personale militare con le stesse regole e negli stessi importi di tutti gli altri sindacati. In pratica, la cronaca di una morte annunciata che troverà il suo naturale epilogo nel fallimento totale delle nascenti organizzazioni sindacali militari, poiché il personale non si iscriverà mai ad organizzazioni che non avranno forza, capacità e autonomia di tutelare e con il rovescio della medaglia che richiederà il pagamento della quota annuale, pari a circa 100 euro l’anno”.
Cosa vorrebbe dire ai Ministri e ai Segretari di partito su questa tematica?
“Ai ministri della Difesa e dell’Economia, di assumersi le proprie responsabilità e di esercitare il proprio ruolo nel bene degli operatori e di confrontarsi, su un tavolo paritetico, con le organizzazioni sindacali già costituite. Ai parlamentari dei Cinque Stelle vorrei ricordare le loro origini e quali sono state le condizioni sociali e le spinte del popolo che hanno permesso loro di arrivare al Governo. Un nuovo bagno di umiltà non guasterebbe! Al ministro dell’Interno e Segretario della Lega, Matteo Salvini, vorremmo tutti chiedere come mai, ormai da anni, abbia slanci continui di generosità in difesa di chi indossa un’uniforme e non perda mai l’occasione per rimarcare questi concetti e poi i suoi parlamentari votano una legge che snatura il sindacato per le Forze di Polizia a componente militare e le Forze Armate e aiuti un processo di democratizzazione? Dal segretario del PD Zingaretti, invece, vorrei capire come mai un partito che storicamente ha sempre difeso le minoranze e i diritti dei lavoratori, ha presentato un disegno di legge negazionista dei diritti del personale e successivamente votato emendamenti che minano l’organizzazione sindacale che vorrebbero delineare. Forza Italia non ha mai brillato per quanto concerne i diritti sindacali e le loro posizioni sono note da tempo, il che ne dicano l’On. Tripodi – componente della Commissione Difesa – ed il Sen. Gasparri, dominus indiscusso delle politiche della sicurezza e della difesa di questo partito. Fdi altrettanto, con le posizioni note da anni dell’On. Crosetto e dell’On. Cirielli, per non parlare poi del Generale in pensione Bartolini, che stanno candidando al parlamento europeo e che recentemente, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, ha fatto intendere che i sindacati sono una metastasi e che con questo processo il rischio è quello che si smilitarizzi l’esercito”.
A questo punto, vista questa impostazione concettuale che lei ci racconta di totale chiusura dei partiti verso il riconoscimento dei diritti sindacali, cosa pensate di fare?
“La soluzione, ovviamente, non è semplice, né agevole, nel momento in cui il ragionamento parte già minato all’origine e il libero pensiero, probabilmente, condizionato dalle avversità. Purtroppo, la classe politica di questo Paese, chiamata a legiferare su un tema così importante e delicato, sta dimostrando la propria indifferenza a voler fare bene. Ci rendiamo conto che è mancata la volontà di dare vita, a priori, ad una sorta di “costituente”, tra politici, associazioni e movimenti per i diritti del personale, giuslavoristi e costituzionalisti autorevoli e vertici delle Amministrazioni, caratterizzata da una nobiltà di pensiero e scevra da condizionamenti, che avrebbe potuto senz’altro agevolare questo processo. Tutte le organizzazioni sindacali sono sul piede di guerra e il fatto che la stampa si disinteressi di questo problema non deve certo far dormire sonni tranquilli alla politica e ai vertici delle Amministrazioni. Così come abbiamo scritto giorni fa, unitamente ad altre sigle sindacali, in un appello al Capo dello Stato, il personale militare con il giuramento prestato ha manifestato, inequivocabilmente, fedeltà incondizionata alla Repubblica, che non viene mai messa in discussione, ma dover assistere passivamente ed ingiustamente alla mortificazione dei propri diritti, nonostante le battaglie democratiche fatte nel corso degli anni, rischia di lasciare sul campo un personale fortemente demotivato, proprio perché colpito e svilito nella dignità di uomo e di servitore dello Stato”.
Circa dieci anni fa, in occasione dei blocchi salariali e stipendiali che colpirono le forze di polizia e le forze armate, lei ed altri delegati Cocer della Guardia di Finanza, con alcuni dei quali oggi ha fondato il Sinafi, che si appresta a raggiungere la quota di 2000 iscritti, seppur liberi dal servizio, apriste un corteo pubblico di 50000 agenti delle Polizie civili che protestarono per le vie principali di Roma con tanto di striscione che rivendicava i diritti sindacali per la Guardia di Finanza. Anche in questo caso pensate di reagire con forme legittime di protesta?
“Noi siamo persone equilibrate, che hanno a cuore il Paese e non metteremmo mai in grave difficoltà le istituzioni, anche perché siamo consapevoli che il Paese attraversa un periodo difficile e che molti cittadini non hanno nemmeno un lavoro, ma questa ennesima ingiustizia sta minando pesantemente la serenità del personale. Disattenzioni, che si sommano ormai da anni e che rischiano di diventare una miscela esplosiva pronta a minare soprattutto la sfera motivazionale del personale, già di per sé assottigliata a causa delle condizioni stipendiali, sociali e lavorative nelle quali si trova a lavorare. Ormai da anni non esiste più una vera e propria contrattazione e si è costretti a subire una sorta di automatismo stipendiale che a malapena copre l’aumento del costo della vita, le indennità accessorie non vengono rivalutate da circa dieci anni (turni notturni e festivi) e il personale, che arriva a malapena a fine mese, è costretto a fare ricorso a banche e finanziarie. Il disagio sociale, legato a separazioni – spesso conflittuali – e le problematiche economiche che ne derivano, si sommano a dismisura e, così come le cronache spesso ci raccontano, sfociano in atti violenti contro familiari o autolesionistici. Il personale delle forze di polizia e delle forze armate, purtroppo, lavora ed opera in condizioni stressanti, lontano dai propri affetti e spesso in aree del Paese difficili. Così come facemmo anni fa, anche oggi non rimarremo inermi di fronte a questo scempio di legge che si sta delineando e, pertanto, siamo pronti a dare battaglia in tutte le sedi per poter scongiurare che questo tipo di legge venga approvata. Se servirà, peraltro, ricorreremo di nuovo agli organi di giustizia nazionali e sovranazionali. Nelle prossime settimane, se non cambierà lo scenario, siamo pronti a portare centinaia di iscritti in piazza per manifestare tutta la nostra rabbia e invitare Governo e Parlamento ad aprire un tavolo di confronto paritetico che guardi prioritariamente agli interessi generali del Paese ma che non mini questo percorso democratico”.
Ma gli operatori di Polizia e della Difesa, oggi hanno uno stipendio sicuro e l’estensione di tanti istituti che lavoratori privati nemmeno si sognano. Non ritiene complicato far capire all’opinione pubblica queste vostre battaglie?
“Certamente non è facile, proprio per queste ragioni e perché le problematiche degli operatori non hanno mai appassionato la collettività. Peraltro, esistono ancora dei retaggi culturali che tendono, erroneamente, a collocare lo status dell’operatore completamente in un alveo che permette una contrazione dei diritti costituzionali e, quindi, soggetto a tutte le limitazioni ritenute necessarie. Siamo perfettamente consapevoli delle difficoltà che incontrano oggi i lavoratori del settore privato e ancora di più di tanti cittadini che non hanno persino un lavoro, ma questo aspetto, ovviamente, seppur ci addolora non può essere certo il motivo per accettare che si lucri sui diritti degli altri. Probabilmente, in questa società, è ancora una volta la classe politica a dover fare un mea culpa sulle inadeguate politiche sociali e di sostegno al lavoro che mette in atto da tempo. Tra l’altro, non è solo una questione di stipendi o di migliori condizioni salariali che smuovono le coscienze, ma anche quella di poter avere un’organizzazione sindacale che possa contribuire, con le proprie politiche non corporative, a dare spunti alle Amministrazioni e alla politica, per migliorare la sicurezza del Paese e per democratizzare ancora di più la funzione di Polizia e di operatore della difesa”.