I Cocer Esercito, Marina e Aeronautica contro il disegno di legge sui sindacati proposto dal governo. É quanto emerso a seguito dell‘audizione del 13 febbraio della rappresentanza militare in Commissione difesa.
“Il Cocer Comparto Difesa, Esercito – Marina – Aeronautica – si legge in una nota – preso atto del DDL n. 875 e della manifesta volontà di una parte della maggioranza parlamentare di spacciare tale riforma per sindacato, ritiene che tale quadro normativo non è neanche idoneo ad essere considerato rappresentanza militare. I Militari vogliono un vero Sindacato, uguale a quello che esiste da 40 anni per la Polizia di Stato. Il DDL a primo firmatario dall’On. Corda porterà alla frammentazione della rappresentatività delle FFAA e ad una possibile confusione, condannando all’inefficacia delle associazioni sindacali, che non avranno vere prerogative e capacità di tutela del personale”. Infine, si legge nella nota, “ci appelliamo al Signor Presidente della Repubblica affinché intervenga per garantire la funzionalità delle Forze Armate e i diritti a tutela dei militari”.
L’intervento del delegato Cocer Marina, Antonello Ciavarelli
Intervento delegato Cocer Esercito Luogotenente Pasquale Fico
“Ringrazio i presidenti e i membri delle commissioni Difesa che ci hanno dato l’opportunità di esprimere le nostre valutazione sui due progetti di legge che dovranno regolamentare l’attività dei sindacati militari. Ma vorrei anche rispettosamente obiettare sulle modalità di questa convocazione venuta a conoscenza del Cocer solo per averne letto sul sito della Camera. Solo ieri mattina, infatti, ci è giunta la convocazione ufficiale. Il che non ha ovviamente permesso ai Cocer di esprimere una valutazione unitaria sufficientemente riflettuta e condivisa. Ciò a mio avviso è grave perché la legge che il Parlamento sta oggi discutendo regolerà i diritti sindacali dei militari per molti anni a venire.
In questa fase non vorrei entrare nel merito di singoli punti dei progetti di legge in discussione, anche perché non ce ne sarebbe il tempo. Vorrei svolgere solo alcune considerazioni generali. Credo che nel delineare la normativa sulle rappresentanze sindacali militari dovremmo avere a mente due riferimenti principali: le norme costituzionali, ed in particolare l’articolo 39 della carta secondo il quale “L’organizzazione sindacale è libera”, e le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale 120 del 2018 che ha dichiarato l’incostituzionalità del comma 2 dell’articolo 1475 del codice dell’ordinamento militare.
Nel momento in cui la Corte costituzionale dichiara incostituzionale il divieto per i militari di disporre di una propria organizzazione sindacale, la decisione trascina con sé anche tutte le altre limitazioni e divieti, ad eccezione di quelli esplicitamente elencati dalla Corte stessa, in particolare il divieto di sciopero, il divieto di confluire in altre organizzazioni sindacali, il perimetro delle competenze. Non rientra tra questi limiti, ad esempio, la preventiva autorizzazione ministeriale.
La Costituzione parla di “registrazione” (anche se poi, lo sappiamo, questa parte dell’articolo 39 non è mai stata attuata) e non ha senso dire che la Corte su questo punto (cioé il comma 1 dell’articolo 1475) non si è pronunciata come si sostiene nella circolare del Gabinetto della difesa, perché su questo la Corte non era stata interpellata e perché quando quell’articolo venne scritto i sindacati militari non esistevano e immagino che chi scrisse quel testo pensasse che i sindacati militari non sarebbero mai diventati realtà. L’unico criterio di riconoscibilità di un sindacato è legato alla sua rappresentatività. La legge potrà fissare soltanto un limite minimo di rappresentatività che sarà verificabile con le prime elezioni libere. L’altra conseguenza della sentenza 120 è che l’organizzazione sindacale è libera. Dunque, la legge non potrà prevedere il modo in cui le articolazioni periferiche del sindacato saranno costituite. Questo dovrà essere lasciato semmai alla contrattazione tra sindacati e amministrazione secondo modelli già ben collaudati nel mondo del lavoro pubblico o anche per la Polizia di Stato. Mi rendo conto che a questo punto la vera sfida è, per tutti noi, fare un salto culturale immenso: uscire dalla sindrome del padre-padrone che ha definito questi quarant’anni di esperienza della rappresentanza militare e cominciare a navigare nel mare spesso burrascoso dell’autonomia individuale e della responsabilità collettiva. Una sfida complessa e audace che ci impegna tutti”.