L’aggressione del 19 novembre 2019 all’agente di Polizia Penitenziaria del carcere di Castrovillari, colpito da un pugno in faccia sferrato da un detenuto riottoso alle ordinarie regole della vita intramuraria, è solo l’ultimo degli episodi che ormai si verificano negli istituti penitenziari italiani senza soluzione di continuità.
Alle Commissioni I e IV, Difesa e Affari Costituzionali, della Camera dei Deputati il sindacato U.S.P.P. (Unione Sindacati di Polizia Penitenziaria), lo scorso 19 novembre, ha rappresentato che gli agenti di Polizia Penitenziaria feriti in servizio nel 2018 sono stati poco meno di 1.200 con un trend in ulteriore crescita nel 2019.
Il fenomeno delle violenze subìte dal personale di Polizia Penitenziaria è riconducibile ad una serie di fattori che concorrono a determinarlo e ad acuirlo, di cui si ricordano almeno i più importanti.
Il primo risiede nel mutato modello custodiale, a seguito della sentenza Torreggiani della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 2013 che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). Per effetto di questa sentenza, i detenuti in carcere hanno molta libertà di movimento nelle sezioni detentive, restando fuori dalle stanze detentive per gran parte della giornata, e questo genera l’ingiustificata aspirazione a rimanere sempre più tempo al di fuori, anche oltre l’orario consentito, con le conseguenti resistenze dei detenuti alle sollecitazioni degli agenti ad osservare le regole penitenziarie che sfociano non di rado in diverbi, aggressioni verbali e violenze.
Il secondo è determinato dalla presenza in carcere di soggetti affetti da disturbi psichici sottoposti a misure di sicurezza detentive, che non dovrebbero essere ristretti negli istituti penitenziari. Infatti, a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari ove prima erano reclusi, avvenuta completamente il 31 marzo 2015, per effetto della legge 30 maggio 2014, n. 81, gli stessi sarebbero dovuti essere ospitati nelle R.E.M.S. (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive). Queste strutture, dipendenti dalle ASL del Ministero della salute, non hanno i posti letto sufficienti ad ospitare gli oltre 1.500 soggetti interessati e, quindi, laddove non risulti possibile ricoverare gli stessi, l’Amministrazione penitenziaria è costretta a trattenerli nelle carceri ordinarie, senza l’adeguata copertura sanitaria dei medici specialisti in psichiatria, psicologia e del restante personale infermieristico di competenza delle strutture sanitarie. Da ciò deriva che l’impatto gestionale ricade prevalentemente sul personale di Polizia Penitenziaria, che non è adeguatamente formato a svolgere correttamente questo delicato ruolo e spesso si trova ad affrontare situazioni di criticità senza possedere le giuste conoscenze e gli strumenti idonei per fronteggiarle.
Il terzo fattore è ovviamente rinvenibile nella mancanza di agenti rispetto al numero che sarebbe necessario per presidiare le sezioni detentive ed assicurare la copertura di tutti i posti di servizio interni. La falcidia della dotazione organica, avvenuta per gli effetti della legge Madia, ha ridotto la complessiva pianta organica del Corpo di polizia penitenziaria di 4.000 unità. Malgrado questa riduzione, l’attuale dotazione organica risulta ancora deficitaria di circa 4.000 unità complessive.
Il quarto fattore risiede nel sovraffollamento della popolazione detenuta. Negli istituti penitenziari per adulti, a fronte di una capienza regolamentare di 50.478 detenuti, ne risultano presenti oltre 61.000. Questo dato, comparato a quello del carente personale di Polizia Penitenziaria in servizio, esprime un chiaro sbilanciamento che rende difficile mantenere inalterati alti livelli di sicurezza e assicurare compiutamente l’ordine e la disciplina interni.
Occorrono, dunque, urgenti interventi legislativi e operativi che servono, nell’immediato, a fronteggiare l’escalation delle violenze subìte dal personale del Corpo di polizia penitenziaria.
Per questa ragione è necessario che il Governo introduca norme specifiche che stabiliscano opportune contrazioni all’accesso dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario e, soprattutto, è indispensabile un inasprimento delle pene detentive per chi commette reati contro il personale di Polizia Penitenziaria nell’esercizio delle sue funzioni. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria deve al più presto emanare specifiche regole di ingaggio di carattere generale relative agli interventi operativi della Polizia Penitenziaria, valide per tutte le strutture penitenziarie italiane, a cui il personale deve attenersi per contrastare efficacemente il fenomeno delle violenze poste in essere dai detenuti. Sono necessarie adeguate dotazioni strumentali che consentano di affrontare gli eventi critici violenti, di cui al momento la Polizia Penitenziaria è sprovvista, come, ad esempio, il taser. Occorre dotare il personale anche di dash cam e body cam per riprendere gli interventi operativi che si eseguono in queste circostanze, al fine di evitare strumentalizzazioni ovvero accuse di maltrattamenti o, peggio ancora, di tortura da parte di detenuti. La presenza di una totale copertura di video sorveglianza nelle zone detentive, inoltre, sarebbe fondamentale per dissuadere e prevenire episodi di soggetti facinorosi.
Terminata questa fase di emergenza, è auspicabile un ripensamento dell’attuale modello custodiale, che così com’è oggi non funziona, occorrono investimenti finanziari per la realizzazione di altre strutture penitenziarie, se quelle odierne non sono in grado di ospitare regolarmente i detenuti ristretti e non consentono il corretto svolgimento delle attività afferenti al trattamento rieducativo, richiamato dall’art. 27 della Costituzione. Servono più poliziotti penitenziari per garantire la sicurezza e occorrono più operatori penitenziari specialisti dell’area trattamentale, analogamente sono indispensabili anche le figure professionali ammnistrativo-contabili, spesso sostituite dal personale di Polizia Penitenziaria, che già risulta carente per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali.
Francesco Laura – Vicepresidente sindacato U.S.P.P