La quota dei giovani italiani che non lavorano e non studiano nel 2015, nonostante la riduzione dell’ultimo anno, raggiunge il primo posto nella graduatoria dei 28 paesi europei. Per la quota di “Neet” siamo al top in Europa con 2,2 milioni di giovani della fascia 15-29 anni che nel 2016 non studiano e neppure lavorano. A fornire i dati, non certo entusiasmanti del panorama dell’istruzione italiana, è il rapporto Istat “Noi Italia 2017”. Il Bel Paese è fanalino di coda anche per quanto riguarda i 30-34enni con titolo di studio universitario: diciassette paesi dell’Ue hanno già raggiunto il target europeo del 40% fissato nella Strategia Europa 2020, mentre l’Italia continua a ricoprire l’ultima posizione con il 26,2%.
Nella graduatoria delle persone di 25-64 anni con livello d’istruzione non elevato, il nostro Paese ha un’incidenza quasi doppia rispetto all’Ue28 (rispettivamente 40,1% e 23,5%). Anche sugli abbandoni scolastici i risultati non sono confortanti: siamo al quartultimo posto (14,7% contro una media Ue28 dell’11%). Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna. Nonostante i progressi degli ultimi anni, per gli abbandoni scolastici il divario territoriale rimane elevato, con una distanza di oltre 9 punti percentuali tra il Nord-est e il Mezzogiorno, dove l’incidenza è più alta (18,4%): in Sicilia quasi un giovane su quattro non prosegue gli studi dopo la licenza media.
Nel 2014 nel Centro-Nord si registrano i più alti tassi di partecipazione dei 15-24enni al sistema formativo (in particolare in Emilia-Romagna e Lazio). Il Mezzogiorno è distanziato di oltre 11 punti percentuali (con il valore più basso in Basilicata). Anche la quota di 30-34enni con titolo universitario è differenziata sul territorio: nel 2016 nel Centro-Nord l’indicatore si colloca in quasi tutte le regioni al di sopra della media nazionale, mentre nel Mezzogiorno è inferiore di 5,5 punti percentuali. La quota di giovani che non lavorano e non studiano (Neet) diminuisce in tutte le ripartizioni. Nonostante il calo sia diffuso anche in molte regioni del Mezzogiorno, le incidenze più elevate di Neet continuano a rilevarsi in questa ripartizione, con una punta del 38,2% in Calabria.
L’istituto nazionale di statistica ha sottolineato che per quanto attiene alla spesa pubblica in istruzione il nostro Paese occupa “il quartultimo posto: incide sul Pil per il 4,1%, valore più basso di quello medio europeo (4,9%)”. Dati confermati anche dal sindacato Anief. “L’ufficio studi Anief ha da tempo anticipato questi dati”, sottolinea il sindacato, ricordando che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. “Nell’ultimo periodo sono persino aumentate dal 25% al 100% le tasse richieste dalle Università agli studenti fuori corso mentre sono ancora in corso le procedure di preselezione per l’accesso ai corsi di specializzazione sul sostegno con costi proibitivi (fino a 200 euro) per la selezione e per la frequenza (anche più di 3.000 euro), segno della difficoltà organizzativa degli Atenei di poter garantire l’accesso all’istruzione superiore”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “oggi l’Istat ha confermato un quadro tendenziale avviato da oltre un ventennio. È chiaro che senza maggiori investimenti qualsiasi programma di rilancio dell’istruzione pubblica è destinato a naufragare. Occorre incentivare gli sforzi, innanzitutto, sul fronte della dispersione scolastica, che in alcune province della Sicilia supera il 40%, mentre l’Europa ci indica come soglia il 10%. Ciò può avvenire solo in un modo: aumentando gli organici delle aree a rischio, ottimizzando l’orientamento e innalzando l’obbligo formativo fino alla maggiore età. Quello che i nostri governanti non hanno compreso – continua Pacifico – è che si deve spendere di più per la formazione: perché, nella cultura, nella ricerca, nella scuola, nell’università ogni finanziamento non è una spesa, ma un investimento per rilanciare lo sviluppo economico del Paese”.
@PiccininDaniele