Operazione eclatante contro il fenomeno degli “sbarchi fantasma”. L’ha portata a termine la Guardia di finanza coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha disposto il fermo di 13 persone, tra le quali una cittadina italiana. L’operazione nasce dall’ipotesi che gli sbarchi sulle nostre coste avvengono non solo con l’intento di trasbordare clandestini provenienti dal nord Africa, ma utilizzando le medesime rotte per il traffico di contrabbando di tabacchi e, particolare di non poco rilievo, per il trasporto di soggetti orbitanti nell’ambito dello jihadismo.
I gommoni, carenati con potenti motori fuoribordo ed esperti scafisti, partivano dalla Tunisia per arrivare sulle coste siciliane in modo da sfuggire ai controlli di polizia. A bordo dalle 10 alle 15 persone che sborsavano anche 5000 euro a testa per arrivare “in sicurezza” nel nostro Paese. Nulla a che fare con i natanti fatiscenti che partano dalla Libia. In questo caso la rotta e il viaggio utilizzato dai trafficanti, risultava meno pericoloso e anche più veloce. In 4 ore i clandestini potevano sperare di giungere a destinazione in tutta tranquillità, assicurando anche l’anonimato a quei soggetti che si recano in Europa con finalità terroristiche.
Nell’ambito delle intercettazioni disposte per le investigazioni, infatti, due degli indagati fanno esplicito riferimento al trasporto di un soggetto in viaggio verso la Francia per compiere “azioni pericolose a seguito delle quali avrebbe potuto non fare ritorno” e, nell’ambito di altra conversazione, sottolineavano di auspicare l’aiuto divino per il compimento del non meglio indicato incarico.
Ma l’organizzazione era indirizzata per lo più nell’attività logistica relativa all’organizzazione dei viaggi, dell’approvvigionamento di documenti idonei alla regolarizzazione e alla sistemazione dei clandestini successivamente allo sbarco in Italia.
E se il fenomeno legato all’immigrazione clandestina dalle coste nordafricane non rappresenta certo una novità, la variante legata agli sbarchi di soggetti legati allo jihadismo, anche se oggetto di specifiche segnalazioni provenienti dai servizi di informazione e trattata recentemente anche da questo magazine, rappresenta il vero incubo per la sicurezza del nostro paese.
L’ipotesi che i gruppi jihadisti, in primis il Daesh, utilizzino le rotte delle migrazioni per infiltrare miliziani con incarichi operativi in occidente, è tutt’altro che irreale
È noto, infatti, che il persistente stato di caos nella zona del Maghreb, abbia fatto il gioco dei sostenitori della jihad, impegnati in un’opera di riunificazione delle varie fazioni in chiave anti-occidentale per riprendere, con rinato slancio, l’offensiva contro i miscredenti. I sintomi di un ritrovato vigore nel condurre nuove azioni in occidente sono sotto gli occhi di tutti e prescindono da un diffuso senso emulativo dei cosiddetti “martiri” caduti in azione presente dal Nordafrica alle banlieue europee.
Questo sentimento di ostilità, unito alla capillarità delle cellule jihadiste sparse in Europa, rendono ardua l’azione di contrasto delle forze di sicurezza dei vari paesi, anche in considerazione del fatto che, nel corso degli anni, gli islamisti si sono giovati dei “buchi” nei sistemi di controllo sia nei centri urbani, sia soprattutto nelle zone meno popolate dove trovano accoglienza i clandestini giunti sul continente dopo le traversate lungo i sentieri gestiti dai trafficanti. E in questa azione di pianificazione logistica un ruolo chiave è ricoperto dai veterani della jihad, reduci dalle carceri europee e ritornati nei paesi di origine pronti a riprendere le loro attività sfruttando la conoscenza dell’Occidente accumulata durante gli anni della loro permanenza nella terra dei miscredenti.