Rivolta dei detenuti con carceri devastate, rivolte e prese di ostaggi. Questa la risposta dei detenuti all’emergenza Coronavirus che blocca i colloqui abituali con i parenti. Questa, in realtà, la giustificazione di una forma di rivolta contro lo Stato che era già latente. La maggioranza dei rivoltosi sono di origini straniere, così come la mobilitazione dei parenti dei detenuti è sembrato il frutto più di un piano ben congegnato che di un’adesione spontanea alla protesta. In tutti gli istituti (Roma, Foggia, Palermo, Milano, etc), lentamente ha preso piede la richiesta di amnistia e indulto che non è chiaro come possa essere collegata all’emergenza coronavirus. Tra le istanze dei detenuti anche quella di ricevere di materiali di protezione, mascherine, guanti e camici. Centri sociali e Ong si sono subito mossi per cavalcare la protesta quasi che questa fosse legittima o legittimata da abusi o violenze perpetrati contro i detenuti o da motivazioni ben più gravi.
Rivolta detenuti: Da Milano a Foggia devastati gli istituti penitenziari
Da Milano a Foggia, da Roma a Bari, il passaparola dei detenuti volto ad un’estensione della rivolta ha tenuto impegnati gli uomini delle forze dell’ordine per l’intera giornata. Sono 22 gli istituti penitenziari che sono stati interessati da rivolte e manifestazioni di protesta provocate da una parte della popolazione detenuta. In diversi casi la situazione non è ancora rientrata, come nel caso di Foggia dove i disordini hanno causato la fuga di detenuti.
A Modena e Bologna circa 350 detenuti hanno occupato diverse sezioni mantenendone il controllo. A Melfi alcuni agenti della polizia penitenziaria sono stati trattenuti dai detenuti in due sezioni di alta sicurezza. A Rieti, invece, l’intero istituto è stato interamente occupato. Disordini si sono registrati anche a Bari, Palermo, Santa Maria Capua Vetere, Velletri, Prato, Milano, Matera, Chieti, Ivrea, Caltanissetta ed Enna.
Le violenze gratuite contro le guardie penitenziarie o contro i contingenti di Polizia impegnati a contenere le proteste, mostrano chiaramente una volontà di proseguire nelle attività criminali per le quali i rivoltosi sono stati posti in stato di detenzione. Una contraddizione totale con il criterio del pieno recupero e della riabilitazione dei detenuti evocato dalla costituzione.
I costi legati alla ristrutturazioni delle strutture danneggiate, così come quelli legati all’impegno di ingenti forze di polizia per contenere le proteste, potrebbero essere addebitate ai detenuti e ai loro familiari, giusto per mostrare che lo Stato c’è e non arretra di fronte a proteste immotivate e pretestuose.