“La ‘ndrangheta controlla tutto ciò che accade a Reggio Calabria”. Il procuratore capo della città sullo Stretto, Federico Cafiero De Raho, non ha dubbi: “Il territorio di Reggio Calabria è un territorio in cui le istituzioni sono fortemente isolate perché la popolazione è soggiogata dalla forza d’intimidazione della ‘ndrangheta – afferma il magistrato- vi è troppa confusione a Reggio e provincia, per cui non è chiaro con quali persone ci si rapporta”. La denuncia del procuratore De Raho è arrivata durante la sua audizione in commissione Antimafia dello scorso 13 ottobre, alla quale hanno preso parte anche i sostituti Stefano Musolino e Giuseppe Lombardo, in occasione della relazione dei risultati conseguiti dal pool calabrese nel contrasto alla mafia locale.
Distanza tra istituzioni e cittadini. Questo lo scenario all’interno del quale opera la criminalità organizzata nel comune calabrese. Un territorio in cui nulla si muove senza l’assenso dei boss. Le cosche autorizzano addirittura l’apertura dei locali e degli esercizi commerciali. “Come dimostrato in passato nell’operazione ‘Araba Fenice’ – spiega il capo della Procura – anche quando si deve procedere alla manutenzione di un immobile privato si fa ricorso alle cosche per sapere chi può lavorare in quel quartiere. Persino un impianto idrico può essere realizzato solo da chi è referenziato dalla ‘ndrangheta”.
Tra gli esempi citati dal magistrato, il caso del bar “Malavenda”, situato proprio al ‘confine’ tra due cosche. Un imbuto nella zona grigia del quartiere Santa Caterina da cui è partita la scintilla per le indagini che hanno poi scoperchiato il cosiddetto “sistema Reggio”. Un ordigno era stato fatto esplodere nella notte dell’11 febbraio 2011 in seguito alla ristrutturazione dell’immobile sulla cui apertura doveva avere l’ultima parola Giorgio De Stefano, considerato dai magistrati soggetto di riferimento per il controllo della zona. “Quell’indagine dimostra l’occupazione del territorio da parte della criminalità calabrese e il ruolo superiore ricoperto da De Stefano”.
Nell’ambito delle recenti inchieste, ‘Mamma Santissima’ in primis, è emerso anche il reato di associazione segreta. “Un reato scomparso in altre procure – spiega De Raho – ma che abbiamo riscontrato in una rete segreta che legava appartenenti dell’area grigia composta da professionisti, avvocati, forze dell’ordine, servizi segreti, magistrati agli uomini della ‘ndrangheta”. Un reato, per l’appunto, introdotto nel nostro ordinamento giuridico nel 1982 dopo la scoperta della loggia P2. Il procuratore ha spiegato come vi fosse un “sostegno reciproco” tra le due parti in campo ma sottolineando come questo intreccio non si realizzava all’interno della massoneria, dove in passato gli uomini della ‘ndrangheta hanno preso parte, bensì all’esterno di essa in un’area quasi invisibile. “Si tratta di un’associazione che non evidenzia dei rituali, noi non abbiamo documenti della sua esistenza ma sappiamo che condiziona gli organi comunali”, spiega il magistrato.
Ma qualcosa sta cambiando all’interno del territorio di Reggio Calabria. “Iniziano ad esserci denunce che prima sembravano impossibili. Lo scorso anno abbiamo avuto 13 collaboratori di giustizia. Un numero davvero straordinario. I risultati che stiamo raggiungendo possono essere visti come un processo all’interno del quale potremo cambiare il territorio”, conclude il procuratore capo Cafiero De Raho, lasciando un anelito di speranza.