Professor Salvatore Prisco, lei è docente di diritto pubblico comparato alla Federico II a Napoli. Qual è la sua posizione sul referendum costituzionale?
“Io personalmente voterò no. Il rendere il bicameralismo differenziato, ad esempio, è una istanza antica e condivisibile dell’Assemblea Costituente, ma a mio parere oggi mal realizzata”.
Quali sarebbero le ragioni del suo no?
“Sempre su questo specifico punto nella riforma il Senato è un organo ‘a mezzo servizio’, perché i consiglieri regionali continueranno a fare i consiglieri e idem i sindaci, che non si capisce perché non restino legati al Comune, che è la funzione per cui sono stati eletti, importantissima e che non ammette distrazioni. I senatori non avranno tempo di informarsi e discutere su che cosa voteranno, perché dovranno deliberare sugli atti provenienti dalla Camera in tempi diversi ma comunque brevi e in concreto voteranno in base ad indicazioni di partito o di corrente. Non si capiscono bene nemmeno le nuove competenze del Senato. Le Regioni ‘approdano’ al Senato mentre la loro popolarità nel Paese non è elevata. Anzi”.
E che ruolo avrebbe preferito per il Senato?
“Ci sarebbero volute figure rappresentative e non scolorite, espressione dei governi regionali, senza altro incarico o come i loro presidenti, sul modello del Bundestraat tedesco. Per assicurare che essi rappresentassero veramente i territori, sarebbe occorso come in Germania il voto unitario di delegazione, per cui ogni regione esprime un indirizzo omogeneo, dopo una discussione interna tra i suoi rappresentanti; così invece si rischia che i senatori ancora un volta si dividano nel voto per appartenenze partitiche, non territoriali”.
Guardando il quesito referendario non sì può non pensare all’Italicum. Come giudica la legge elettorale?
“Sono culturalmente un proporzionalista. L’Italia non ha mai avuto bipolarismo effettivo di alternanza, perché Destra e Sinistra sono sempre state costituite ciascuna da una parte radicale e una riformista. Questo ha dato luogo ad un rattrappimento del gioco politico per paura che l’estremismo prevalesse. Non c’è più la classica contrapposizione tra Dc e Pci, ma una fra quelli che pretendono di rappresentare il popolo ‘vergine’ e la ‘casta’. I primi non fanno compromessi poi ci sono quelli che vogliono affondare nei porti di partenza i barconi. Entrambi vogliono un referendum per uscire dall’euro o abolire il libero mandato parlamentare. Sono istanze tutte fuori dalla Costituzione vigente”.
E sulla proposta di abolizione del Cnel? Come la vede?
“Il Cnel non lo vuole nessuno, tranne quelli che ci lavorano. Ci vorranno sicuramente uffici di coordinamento delle politiche industriali e professionali con il Governo e il Parlamento, ma su questo punto l’organo, così com’è, non ha funzionato”.
Parte della campagna per il referendum è stato incentrato sulla riduzione dei senatori. Secondo lei è una buona proposta?
“È una scivolata demagogica, perché la democrazia ha i suoi costi. Posto che gli scandali vanno combattuti, così come gli sprechi, non si può ‘buttare via il bambino con l’acqua sporca’. Se si voleva ridurre il numero dei parlamentari, perché non bilanciare il taglio tra Senato e Camera?”.
Il combinato disposto dal referendum più la legge elettorale come lo giudica?
“La logica di questa riforma è di personalizzazione e di centralizzazione. Le Regioni vengono de-quotate e diventano quello che erano le vecchie Province. Con il premio di maggioranza dell’Italicum, ad oggi, la lista di partito vincente controllerebbe la Camera e gli organi di garanzia mentre il suo leader schiaccerebbe anche le minoranze interne del suo partito. Il correttivo sarebbe stata una legge sui partiti, una sulle primarie generalizzata e una sulle lobbies”.
Cosa succederebbe in caso di vittoria del sì? E del no?
“Penso che comunque si accentuerebbe una tendenza a scollare il potere rappresentativo dal popolo “razionale”. Nel caso di vittoria del no invece, sarà importante il ruolo del presidente Mattarella. Egli dovrà trovare una soluzione, probabilmente con un ‘governo di scopo’ affidato ad una figura come il presidente del Senato Grasso, col mandato di riformare in senso proporzionale le leggi elettorali di Senato e Camera e tornare alle urne in una campagna elettorale che avesse anche il tema delle riforme costituzionali e istituzionali”.