In cambio dei soldi del Recovery Fund l’Italia diventerà l’hotspot d’Europa. Il grave rischio causato dalla politica portata avanti dal governo Conte è proprio questo. Nelle segrete stanze dei Palazzi, è ferma la consapevolezza che l’Italia conta poco e niente sui tavoli internazionali al punto che numerosi osservatori e analisti vedono proprio nei 209 miliardi che l’Europa ha messo a disposizione per la crisi legata alla pandemia, la strategia di Bruxelles per risolvere il problema dell’immigrazione, a svantaggio del nostro Paese.
Ue presenta il nuovo piano per gestire l’immigrazione: ma per l’Italia cambierà poco
Le condizioni poste dall’Ue, dove in queste ore è stato presentato il piano della Commissione dal titolo “Nuovo patto sulle migrazioni e sull’asilo”, a parte l’impiego del denaro proveniente dal Recovery Fund, prevederebbero anche che i porti di sbarco dei clandestini saranno sempre e solo quelli italiani, le regole di Dublino non verranno verosimilmente mai cambiate e il nostro Paese sarà destinato a soccorrere e tenere sul territorio nazionale migliaia di migranti. Nonostante il progetto della Commissione, appunto, che ha manifestato l’intento di superare il Trattato di Dublino, le opposizioni a questa possibilità arrivano da più parti, non solo dagli Stati aderenti al cosiddetto patto di Visegrad. L’Italia, con i suoi rappresentanti in Europa e non solo, si opporrà al nuovo piano sui migranti soltanto a parole. Nei fatti, il governo guidato da Giuseppe Conte sa benissimo che non ci sono margini per ottenere modifiche sostanziali. E la situazione è già chiara scorrendo le dichiarazioni di commento al piano migranti arrivate in giornata che elogiano la proposta della Commissione Ue. Uno per tutti, Piero De Luca, capogruppo Pd in commissione Politiche europee alla Camera, ha parlato di “passo in avanti decisivo per una gestione condivisa del fenomeno migratorio e per la costruzione dell’Europa del futuro”. Ma la realtà è ben diversa. Su ricollocamenti, rimpatri e porti di sbarco l’Europa continua a parlare di “solidarietà” da parte degli Stati membri che nel piano presentato diventa “flessibile”. Ma la sostanza non cambia suggeriscono fonti interne a Palazzo Chigi.
I soldi del Recovery Fund in cambio dei migranti
L’Europa, soprattutto a causa del coronavirus, ha sfruttato le nostre debolezze legate ad una classe dirigente incapace a cui si sono uniti i gravi problemi economici esistenti prima dell’arrivo del Covid-19. In questo modo, la questione dell’immigrazione clandestina che si riversa sulle nostre coste, con la speranza di raggiungere altri Paesi Ue, è chiusa. Nessun ricollocamento obbligatorio sarà attuato dagli Stati membri, se non poche decine di unità per salvare le apparenze. E se l’Italia protesterà su questo punto, la pena sarà la dissoluzione dei soldi promessi con il Recovery Fund.
La disfatta dell’Italia sullo scacchiere internazionale
La prova di tutto questo è, tra le altre cose, nella gestione della Libia, dove ormai abbiamo perso ogni influenza. Ad esempio, Onu e Germania lavorano ad una conferenza virtuale sulla Libia che dovrebbe tenersi il 5 ottobre. Una sorta di “Berlino II”, dove però l’Italia non compare tra gli organizzatori e parteciperà incidentalmente, al pari di altri Stati che non hanno interessi vitali nel paese nordafricano. E ancora. Sempre per quanto riguarda la Libia, Russia e Stati Uniti tentano di “parlare” con la Turchia per arrivare a ridimensionare (o quantomeno gestire) la presenza di Ankara nell’area. Probabilmente, ancora una volta sarà l’America di Trump a trovare la soluzione al caso che si tradurrà necessariamente in denaro investito in Turchia per far fronte alla grave crisi economica. Anche Putin cerca di avere un ruolo nel Mediterraneo attraverso la stabilizzazione della Libia. In tutto questo l’Italia sta a guardare, incapace di mettere in campo una strategia efficace che riporti il nostro Paese nei salotti internazionali che contano.
Fuori dalla Libia
Quello che siamo diventati, ad esempio, è espresso dall’incapacità di liberare gli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati da Haftar già nei primi giorni di settembre. Cosa vuole davvero l’uomo forte della Cirenaica? Oltre alle richieste ufficiali (la liberazione di alcuni libici arrestati per traffico di essere umani), il generale ha ingaggiato un braccio di ferro forse per dimostrare la sua forza? O per arrivare a ottenere alleanze per la sua scalata al potere? Non lo sappiamo. In ogni caso, in altri tempi tutto questo non sarebbe accaduto. Senza andare troppo lontano, già nel periodo in cui Marco Minniti era a capo del ministero dell’Interno (con a corredo il supporto dell’intelligence) l’Italia riusciva almeno a dialogare con le parti in campo. Poi, lentamente ma inesorabilmente, il nostro Paese ha perso influenza e credibilità. Troppo volte, ad esempio, Fayez al Sarraj (il capo dimissionario del governo di unità nazionale voluto dall’Onu), ha chiesto aiuto all’Italia per arginare le mire espansionistiche di Haftar senza ricevere alcuna risposta. E alla lunga, l’interlocutore che ha risposto alla chiamata è stato Erdogan. Un errore clamoroso da parte del governo italiano che adesso si trova ai margini del Mediterraneo.
I migranti sono solo uno degli aspetti della disfatta italiana
Gli interessi economici in Libia avrebbero dovuto mobilitare l’esecutivo, ma Conte ha preferito concentrarsi su altro immaginando che la soluzione ai problemi si trovasse nelle nomine ai vertici dei servizi segreti. Ma gli 007, di qualunque Nazione, seguono le indicazioni della politica. E se questa non fornisce obiettivi strategici da tutelare o conquistare, anche l’intelligence non riesce a operare in modo efficace. L’esito delle elezioni regionali e del referendum restituisce un panorama desolante. Gli accordi sul Recovery Fund, è bene ricordarlo, possono essere portati avanti solo da questo gruppo politico che oggi governa, avendo accettato di trasformare l’Italia in un hotspot in cambio di soldi per evitare la banca rotta. Ma il prezzo che pagheremo sarà altissimo. Il flusso migratorio infatti, non si fermerà così facilmente. E fino a quando la Libia vivrà nell’instabilità politica, i barconi continueranno a partire. Anche la Tunisia non offre più alcun appoggio politico e operativo all’Italia, lasciando che dalle proprie coste partano quotidianamente barchini diretti verso la Sicilia e Lampedusa. L’Italia, inoltre, è fuori dai tavoli che riguardano il Libano, l’Egitto, ma anche la Palestina e la Turchia.
Gli Usa non gradiscono i nostri rapporti con la Cina e Mike Pompeo andrà in Vaticano per tirare le orecchie al Papa
E gli Stati Uniti, che da sempre hanno dimostrato interesse per il nostro Paese non fosse altro che per la posizione strategica che territorialmente occupiamo nel Mediterraneo, hanno per il momento tirato i remi in barca perché stufi della politica filo-cinese del M5S. Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa, tra qualche giorno sarà in Italia. Prima tappa il Vaticano per tirare le orecchie al Papa proprio riguardo ai rapporti con Pechino. L’amministrazione Trump non gradisce certe aperture, neanche da parte della Santa Sede che in questo momento appare indebolita al suo interno a causa di lotte intestine forse senza precedenti. Bergoglio pare non dorma sonni tranquilli e la visita di Pompeo potrebbe ulteriormente affollare di incubi le sue notti, ma anche quelle di Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. I due, infatti, dovranno rendere conto agli Usa di una politica eccessivamente aperta verso la Cina. Trump ha fretta di chiudere certe situazioni. Le elezioni di avvicinano e la sua rielezione passa anche attraverso la gestione dell’affaire Pechino.