Putin: “Thank you NATO!”
In queste ore non si parla d’altro che del possibile attacco della Federazione Russa all’Europa e, perché no, alla stessa NATO.
Le esternazioni si sprecano e nel frattempo le diverse sedi diplomatiche europee, come quelle di Spagna, Italia e Grecia, oltre a quella degli Stati Uniti, sono state cautelativamente chiuse, seppure operative, per la paura di un imminente “attacco aereo significativo” su Kyiv.
Da più parti, infatti, si levano voci relative ad una possibile escalation del conflitto fino al punto di pavesare scenari a dir poco incredibili di guerra nucleare: tanto per non parlare di certe analisi che, con buona pace dei loro estensori, definire estemporanee è già molto anche in considerazione del fatto che, dopo oltre 1.000 giorni di guerra e fiumi di retoriche prolusioni apologetiche, qualcuno pare essersi reso finalmente conto che, come già accaduto in passato, —quando, ad esempio, gli Stati Uniti iniziarono a trattare con i talebani escludendo il governo di Kabul, o come accadde allorché sempre gli Stati Uniti lasciarono i Curdi, che tanto in Siria si erano battuti per annientare l’ISIS sul terreno, in balia della Turchia—, l’Ucraina si troverà a breve abbandonata a sé stessa dal Governo Trump.
E quantunque gli scenari ed il contesto saranno in linea di massima differenti, è lecito presumere che gli effetti del disimpegno statunitense ed europeo non differiranno di molto da quelli patiti da altri Paesi in circostanze similari: si pensi solo a quanto in maniera ancora più eclatante accadde nel 1972, ai tempi, tanto per intenderci, della famosa tregua che caratterizzò la fase finale della Guerra del Vietnam e della garanzia data da Washington a Saigon che qualora i Vietnamiti del Sud fossero stati nuovamente attaccati dalle forze comuniste gli Americani sarebbero intervenuti.
A quel tempo a farsi garante dell’incondizionato sostegno a Saigon era stato il Presidente Nixon, ma poi concretamente le circostanze della politica statunitense vanificarono qualsiasi promessa ed influirono sugli sviluppi finali della guerra del Vietnam: in primo luogo il Congresso votò contro ogni ulteriore sovvenzionamento dell’azione militare nella regione e a favore di una limitazione dei poteri del presidente di intraprendere avventure militari all’estero; in secondo luogo, soprattutto, Nixon stava ormai lottando disperatamente per la sua sopravvivenza politica e morale, di fronte al continuo aggravarsi dello scandalo Watergate. Di conseguenza il sostegno statunitense e i promessi aiuti non si materializzarono mai se non in piccola parte, cosicché il governo di Saigon, sempre più fragile e instabile, venne progressivamente abbandonato al suo destino e tre anni dopo il conflitto finì e tutti noi sappiamo in che modo.
La storia, mutatis mutandis, pare si stia per ripetere paro paro in questi giorni cosicché a ben guardare le trattative di cui si tanto si parla, quelle trattative caratterizzate dalle fantomatiche aperture di Mosca per raggiungere la pace di fatto sono realtà solo nelle menti dei giornalisti mainstream e, forse, neppure in quelle anche in considerazione del fatto che l’Europa non solo non ha la forza industriale ed economica per aiutare Kyiv, ma meno che mai il peso e l’autorevolezza politica necessaria anche solo ad impensierire Mosca: fatti e circostanze quelli sul tappeto che fanno sì che nel momento in cui gli Usa si ritireranno dalla partita –perché si ritireranno– è oltremodo lecito ritenere che al Presidente Zelensky ed i suoi non resterà che fare buon viso a cattivo gioco e nel contempo spiegare molte cose al proprio Paese.
É in questo senso che, dopo oltre 1.000 giorni di guerra, le attuali decisioni del Presidente Biden meritano una del tutto particolare attenzione poiché non è affatto chiaro come mai lo stesso abbia:
- sino ad ora reiteratamente rifiutato a Kyiv l’autorizzazione, più volte sollecitata dal Pres. Zelensky, ad usare in profondità le armi a lungo raggio se ne riteneva l’impiego, come tutto pare ora confermare, potenzialmente decisivo (il dubbio che una tale autorizzazione sia motivata da ragioni spicciole di politica interna è un dubbio che la Casa Bianca dovrebbe sciogliere al più presto).
- rigettato sistematicamente le ripetute richieste del Kyiv di essere ammessa nella NATO, ovvero di essere invitata a farne parte
- ripetutamente escluso qualsiasi coinvolgimento diretto degli Stati Uniti quando è proprio da quello che è partita la disputa come ha a più riprese spiegato il defunto ex-Segretario di Stato Henry Kissinger che nel corso della sua lunga carriera ha più volte sottolineato la necessità di evitare che la Federazione Russa finisse tra le braccia di Beijing;
e per quanto riguarda l’aspetto puramente militare:
- come hanno fatto gli ‘esperti’ militari statunitensi –ed il Presidente Biden con loro per quanto di sua politica competenza (da cui le sanzioni)– a qualificare come Blitz Krieg un attacco che, per essere inquadrato come tale, e come tale –nella lettura che se ne è volata dare– finalizzato a piegare in breve tempo la resistenza di un esercito bene addestrato forte di 600.000 uomini, avrebbe richiesto la mobilitazione di, diciamo, circa 2.000.000 di uomini tutto compreso, forti di un adeguato supporto aereo, di un adeguato numero di pezzi di artiglieria da campagna nonché di pezzi di artiglieria semovente che operassero lungo un’unica direttrice d’attacco senza disperdere le forze lungo più linee, come invece avvenne, per somma con l’impiego di un decisamente inferiore numero di uomini, per giunta scarsamente addestrati, peggio armati e privi del supporto tattico e logistico sopra citato
- soprattutto tenendo conto che dubito sia passato inosservato ai servizi di intelligence USA il fatto che Putin avesse preso a prepararsi a tutto questo fin dal 2016, come ben poco emotivamente illustrato in un articolo dedicato espressamente a questo tema e puntualmente confermato dai fatti
Quanto, poi, alla possibile reazione militare da parte di Putin, personalmente ritengo che il Presidente della Federazione Russa sia decisamente consapevole del fatto che gli Europei sono già così oltremodo capaci di autoinfliggersi danni enormi da poter escludere la necessità di ulteriori interventi dall’esterno.
Oltretutto le dinamiche attuali della guerra sono decisamente cambiate in questi ultimi anni al punto da rendere superfluo colpire militarmente le nazioni europee: al Presidente Putin basta attendere che l’impoverimento faccia qui il suo naturale corso anche in considerazione del fatto che attaccare militarmente uno o più Paesi europei vorrebbe dire compattare la NATO, che é esattamente il contrario di ciò che la guerra mossa all’Ucraina si prefiggeva di ottenere e per questa via otterrà se ad essa non sarà posto termine al più presto.
Rigettare questa lettura dei fatti impone infatti il domandarci perché mai il Cremlino avrebbe dovuto iniziare a preparare quell’attacco fin dal 2016 predisponendo tutte le contromisure alle non solo prevedibilissime, e di fatto attese, sanzioni, per poi muoversi sul terreno, come visto, con armi, mezzi e uomini non adeguati allo scopo.
A tanto si arriva considerando che per quanto appetibile sia l’Ucraina, dal punto di vista strategico una Blitz Krieg vincente che ponesse termine alla guerra sarebbe stata controproducente in quanto avrebbe in primo luogo determinato un allargamento ulteriore della NATO (che di fatto vi è stato) con il relativo dislocamento di un maggior numero di missili a lungo raggio nei Paesi NATO prossimi ai confini della Federazione Russa (con il conseguente aumento della minaccia che l’attacco all’Ucraina voleva a suo dire evitare), nonché un compattamento della NATO stessa e quindi un rafforzamento della posizione strategica statunitense in Europa.
Putin a ben guardare é stato ad un passo dal conseguire il suo obiettivo: scompaginare la NATO a partire dalla defezione della Germania, una defezione che é stata evitata solo con un atto di guerra intestino all’Occidente, ossia distruggendo il Nord Stream.
Questo atto, che ha effettivamente rimescolato a sorpresa le carte, ha finito per imporre a Mosca un abbraccio pericoloso con Beijing: un abbraccio dal quale il Cremlino sta cercando di uscire e che diventerebbe più pericoloso ancora se Putin cadesse nella trappola dell’ultima ora predisposta da Biden. Una trappola per modo di dire visto che una reazione di Mosca nel senso desiderato dagli Stati Uniti aiuterebbe Beijing a consolidare la propria leadership nella compagine BRICS, nonché la controproducente, per tutto l’Occidente, alleanza sino-russa.
Anche per questo mi sento legittimato a ritenere che Putin in questo frangente non attaccherà perchè questa è la mossa vincente in quanto talvolta il perfetto agire è proprio il non agire.
Se a questo aggiungiamo che gli USA non si fidano affatto di Kyiv e che per questo l’Ucraina riceverà i missili a lungo raggio di volta in volta, viene spontaneo chiedersi cosa potranno mai fare questi missili se, a quanto pare, dei 6 lanciati recentemente 5 sono stati prontamente distrutti dai Russi ed uno danneggiato.
Possono cambiare le sorti della guerra? Direi proprio di no e viste le reazioni di Trump credo che il Cremlino debba solo aspettare il cambio di vertice. I Democratici in America hanno perso la faccia oltre alle elezioni e le minacce nucleari di rito di Putin sono alla fine un assist per quel Trump che verosimilmente chiuderà il conflitto con l’Ucraina, magari con una soluzione alla coreana , ereditando pure una situazione europea che farà da motore per l’industria bellica di casa e non solo…
Alla fine i veri sconfitti sono già da un pezzo gli europei, ma sembra che di questo non si voglia ancora rendere conto pressoché nessuno.
E che il Presidente russo abbia fatto bene i suoi calcoli lo testimonia una singolare circostanza. Nel Settembre del 2023, per l’esattezza il 16 del mese, intervenendo a margine di una riunione dei comandanti della Nato tenutasi a Oslo giorno 16 del mese, il capo della difesa norvegese, il generale Eirik Kristoffersen, rivelò che la Russia aveva ridotto drasticamente la sua presenza militare al confine con la Norvegia, Paese membro della Nato.
Per l’occasione il Generale Kristoffersen intese di leggere la cosa come una riprova del fatto che Vladimir Putin era perfettamente consapevole del fatto che la Nato non era una minaccia per la Russia poiché, se avesse reputato che l’Alleanza Atlantica stesse minacciando il suo Paese, non avrebbe potuto spostare tutte le sue truppe in Ucraina. Ed infatti, stando alle dichiarazioni del Gen. Kristoffersen, la Russia in quel momento aveva ritirato circa l’80% delle forze precedentemente dislocate in prossimità del confine norvegese prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, avvenuta nel febbraio del 2022.
La conclusione dell’alto ufficiale all’epoca fu affidata ad una frase emblematica: “Putin ha corso questo rischio perché sa che la Nato non sta minacciando nessuno” una frase sottintendente un concetto condiviso da diversi altri esperti militari come ad esempio il Presidente del Comitato Militare della Nato, l’Ammiraglio Rob Bauer, che per l’occasione sottolineò che, oltre al ritiro delle forze russe dal confine norvegese, vi era a suo dire un altro indicatore non meno importante: la reazione sorprendentemente rilassata di Mosca all’adesione della Finlandia alla Nato nella primavera del 2023.
Purtroppo la conclusione dell’Ammiraglio Bauer, tutta volta a destituire di qualsivoglia fondamento la tesi di Mosca secondo cui l’attacco di Putin all’Ucraina era la risposta alla minaccia rappresentata dalla NATO al suo Paese, in quanto se ciò fosse stato vero Putin avrebbe reagito in modo completamente diverso all’adesione della Finlandia (Mosca infatti non aveva fatto alcuno sforzo per scoraggiare l’adesione delle due nazioni nordiche alla Nato, nonostante il fatto che, con l’ingresso della Finlandia, il confine terrestre della Russia con l’Alleanza fosse più che raddoppiato, e che l’imminente adesione della Svezia avrebbe trasformato il Mar Baltico in un “lago” della NATO) avrebbe meritato un diverso approccio se non altro da parte degli analisti politici e anche militari se questi ultimi non si fossero un po’ troppo innamorati del proprio errore valutativo circa l’essere l’attacco russo una Blitz Krieg invero oltremodo anomala come illustrato poc’anzi e con dovizia di particolari riportato nel già citato articolo “Game of Sanctions” pubblicato il 15 Luglio 2023 dalla rivista statunitense Inner Sanctum Vector N360 da pag. 144 in avanti.
Non è dato ancora oggi di capire come mai, non essendo la NATO un forum economico, nessuno si sia dato la briga di capire come mai negli undici mesi precedenti l’adesione della Finlandia, la Russia avesse minimizzato l’intera questione e di fatto ritirato la stragrande maggioranza delle proprie truppe e del suo materiale militare dalla regione, come del resto confermato nell’agosto del 2023 dal Ministro degli Esteri finlandese, Elina Valtonen, e sottolineato anche da altri che meglio avrebbero fatto a non prendere sottogamba Putin che è stato e resta un personaggio oltremodo astuto.
Meglio sarebbe stato riguardare la totale mancanza di apparente interesse di Putin per l’adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato non semplicemente come un qualcosa di decisamente distonico rispetto agli sforzi del Cremlino di voler giustificare l’invasione dell’Ucraina brandendo i legami di Kyiv con l’Alleanza Atlantica, ed in tal senso evitando di credere alla propria propaganda volta a far credere che l’espansionismo della NATO non perseguisse obiettivi strategici militari illustrati a più riprese da illustri personaggi tra i quali campeggia, piaccia o non piaccia, la figura dell’ultimo vero statista degli Stati Uniti, l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger che, tra l’altro, quale persona decisamente addentro alle segrete carte, ha confermato che l’espansione dell’Alleanza dal 1991 è avvenuta in violazione delle assicurazioni, effettivamente non scritte, offerte durante gli anni crepuscolari dell’era sovietica: un qualcosa che ci si è ostinati in Occidente a voler far passare per propaganda russa.
Testualmente Kissinger a Maggio del 2023: “Non credo che tutta la colpa sia di Putin. La guerra in sé è molto spietata, l’attacco deve essere respinto e io sostengo la resistenza ucraina e occidentale. Ma già nel 2014, in un saggio, avevo espresso seri dubbi sul progetto di invitare l’Ucraina ad aderire alla NATO. Ciò diede inizio a una serie di eventi culminati in una guerra. Ciò non giustifica la guerra, ma allora credevo e continuo a credere che non sarebbe stato saggio combinare l’ingresso di tutti i Paesi dell’ex blocco orientale nella NATO con quello. NATO. invitando anche l’Ucraina ad aderire alla NATO“. Queste le parole di Kissinger, che ha anche ricordato di aver proposto, purtroppo inascoltato, di lasciare all’Ucraina uno status neutrale, rendendola “un ponte tra le due parti“.
Una disamina scevra da opinioni personali la si può trovare in un articolo pubblicato il con il titolo “Noam Chomsky: il mondo alla resa dei conti“ sperando che deve e può intendere intenda prima che sia troppo tardi.
E sinceramente dubito che Henry Kissinger possa essere definito un anti-americano, ovvero un anti-occidentale.