Le recenti rivelazioni in merito alle attività dei servizi segreti indiani nella Capitale e non solo, pubblicate dal quotidiano Il Tempo, non giungono del tutto inattese agli analisti d’intelligence. La presenza di ramificazioni di alcune entità di sostegno e finanziamento a organizzazioni terroristiche pakistane in Italia e, in special modo, a Brescia, Ravenna, Roma e Napoli, è infatti un fatto noto. Il fenomeno, già radicato in Germania, Francia e, soprattutto, nel Regno Unito, si è esteso al nostro Paese all’inizio del nuovo millennio, quando alcuni soggetti, già parzialmente integrati nel tessuto sociale italiano con numerose attività di “money transfer”, vennero contattati da agenti provenienti dal Pakistan, in particolare da Lahore ed Islamabad, allo scopo di facilitare l’invio di somme di denaro raccolte in alcune associazioni islamiche romane a destinatari pakistani, alterando i dati del mittente.
Ma questa era la punta dell’iceberg di una più complessa attività di finanziamento ai gruppi islamisti orbitanti attorno al network qaedista in Asia e in Europa. I personaggi al centro delle operazioni finanziarie, per convinzione o paura indotta dalla pressione degli emissari pakistani, avevano intrapreso anche l’attività di “hawaladar”, in qualità di mediatori per l’invio “sulla fiducia” di ingenti somme di denaro, sotto la copertura delle rimesse di emigranti, destinate al Paese asiatico. La particolarità di queste complesse operazioni, che in questa sede abbiamo voluto semplificare allo scopo di renderle comprensibili, è che i finanziamenti erano destinati non solo a gruppi islamisti radicali jihadisti agenti contro l’Occidente, ma anche a entità che operavano, e tutt’ora operano nel conteso confine a nord dell’India, con finalità di espansione territoriale in danno di New Delhi, in ciò sostenuti dall’Isi, l’Inter Services Intelligence, il potentissimo servizio segreto pakistano.
Potrebbe risiedere in tale contesto la spiegazione più plausibile all’arrivo in Italia di agenti indiani, anche in considerazione del fatto che le notizie relative i finanziamenti ai gruppi islamisti del Kashmir, all’alba del millennio vennero considerate di minor rilievo rispetto a quelle relative alla galassia di Al Qaeda, all’epoca ritenuta la maggior minaccia per gli interessi Occidentali.
La persistenza e l’espansione del fenomeno del finanziamento dei gruppi islamisti, risulta di non facile approccio per gli investigatori. Si tratta, infatti, di una miscela di sottili trame intessute tra vari soggetti le cui conversazioni non si prestano a intercettazione poichè, per lo più, discorrono nei vari dialetti solo durante gli incontri sporadici che li vedono protagonisti. Inoltre, le tecniche messe in campo per il trasferimento di fondi non lasciano tracce, non prevedendo il rilascio di ricevute e avvenendo tramite comunicazioni verbali o con semplici sms o email del tutto innocue nei contenuti. La raccolta dei fondi si presenta ancor più oscura, trattandosi di somme di denaro versate volontariamente dai fedeli islamici durante gli incontri di preghiera e formalmente devolute alle Ong islamiche per il supporto a popolazioni musulmane in sofferenza.
In questo complesso panorama di attività per lo più illecite vi è poi una particolarità ancora più rilevante. La comunità pakistana romana, è quella che, a tutt’oggi, secondo le notizie in nostro possesso, non è titolare di alcun centro islamico, moschea o associazione. I musulmani del Pakistan, immigrati nel nostro Paese, frequentano infatti i luoghi di preghiera gestiti da bengalesi, mantenendo così un profilo assai contenuto quanto a riconoscibilità e identificazione come frequentatori provenienti da quello specifico Paese asiatico.
La zona centrale della Capitale, soprattutto quella dell’Esquilino, è costellata di attività commerciali, agenzie di money transfer e società gestite in toto proprio da pakistani, sul cui conto non pesano precedenti penali o segnalazioni che li rendano “sospetti”. Ma le fonti interpellate hanno anche riferito che questi stessi soggetti, giunti in Italia da lungo tempo, sono improvvisamente divenuti imprenditori, senza alcun background economico di rilievo. Una volta individuati dagli emissari pakistani e opportunamente indottrinati, a oggi continuano nelle loro attività sviando i controlli grazie anche alle coperture offerte dalla comunità islamica e, non escluso, da agenti stranieri opportunamente collocati in seno alla stessa.