Un calvario di violenze, torture e diritti umani negati. E’ ciò che è accade ad Argun, cittadina russa nella Repubblica Cecena, a più di 100 uomini colpevoli – secondo il governo ceceno – di avere un orientamento sessuale ‘diverso’.
Picchiati fino allo stremo, torturati con scosse elettriche, obbligati a sedersi su bottiglie di vetro, soffocati con sacchetti di plastica o appesi per i polsi e le caviglie.
La notizia, di qualche giorno fa, è stata riportata dalla testata indipendente russa la Novaya Gazeta, grazie alla giornalista Elena Mlashina, la prima a denunciare l’esistenza di queste prigioni segrete in Cecenia, molto più simili a dei lager che a luoghi di reclusione.
L’articolo naturalmente ha creato molto scalpore e indignazione, tanto che la Mlashina è stata minacciata e costretta a vivere in una località segreta. A rivelarlo è lei stessa, in un video rilasciato alla Bbc, dove dichiara che non solo lei è vittima di minacce, ma ora tutta la redazione della Novaya Gazeta è sotto tiro.
La testata indipendente russa non è certo nuova a questo tipo di problematiche. E’ infatti la stessa che pubblicò gli articoli di Anna Politkovskaja, la giornalista che si opponeva al regime di Putin e che fu uccisa nell’ascensore di casa sua il 7 ottobre del 2006 per mano di un sicario.
Ovviamente il governo Ceceno, che non è nuovo a questo tipo di soprusi, tenta in tutti i modi di negare l’evidenza dei fatti. Non a caso già nel 2006 l’Human Right Watch, lo imputò di accuse molto gravi per l’utilizzo di pratiche di tortura perpetrate sempre a discapito delle minoranze.
Non sono tardate le affermazioni, dure, da parte delle Nazioni Unite: “Sollecitiamo le autorità a mettere fine alle persecuzioni delle persone ritenute gay o bisessuali nella Repubblica Cecena che stanno vivendo un clima di paura alimentato dai discorsi omofobi delle autorità locali – scrivono in una nota i cinque esperti indipendenti tra cui Vitit Muntarhorn, che si occupa di protezione contro le violenze e le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere – È fondamentale che le notizie di rapimenti, detenzioni illegittime, torture, pestaggi e uccisioni di uomini percepiti come gay o bisessuali siano oggetto di indagini approfondite”.
Della stessa idea è Vladimir Luxuria, attivista, scrittrice ed ex politica italiana. Lei stessa nel 2014, in Russia, ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di essere arrestata a Sochi dalla polizia solo perché sventolava una bandiera con la scritta in russo ‘Essere gay è ok’: “Ciò che sta accadendo in Cecenia è assurdo – spiega parlando con Ofcs.report – Nel 2017 accadono ancora di queste cose. Giovani ragazzi vittime di veri e propri campi di concentramento. Assistiamo ad una vera ‘omofobia di Stato’ – prosegue Luxuria – dove la famosa legge antipropaganda di Putin prosegue a mietere vittime”.
“L’omofobia è un mostro a più teste – aggiunge – C’è quella violenta come in Cecenia, quella più diplomatica, quella più edulcorata, quella legittimata intellettualmente o dalle religioni, quella degli insulti fino a quella delle aggressioni. La chiamano ‘omofobia di Stato’ proprio perché organizzata con la complicità delle autorità. Ma – incalza l’attivista – l’omofobia appartiene a tutti i colori politici, nessuno escluso. E questo accade in tutto il mondo, non solo in Cecenia. Quando andai in Russia per sfidare la legge di Putin, urlando e sbandierando i miei diritti ho sperimentato in prima persona cosa volesse dire pronunciare la parola innominabile: gay. Mi auguro ci sia, al più presto, una mobilitazione internazionale a favore di quei poveretti. C’è da dire che almeno per una volta, la Cecenia e la Russia – da sempre ai ferri corti sulle politiche interne – sono d’accordo su una cosa, l’omofobia”, conclude Vladimir Luxuria.
E, nonostante il prossimo 17 maggio sia la giornata internazionale contro l’omofobia, Ilga (la federazione internazionale composta da ben 1200 organizzazioni provenienti da 125 paesi impegnate per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuale, trans e intersex) ha pubblicato nel 2016 un rapporto dove evidenzia come 75 paesi, siano ancora classificati come ‘stati criminalizzati’. Questo per via del fatto che in tali luoghi, come riportato su Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili), gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso risultano essere illegali e severamente condannati dalla legge.
In questi Stati, gli arresti sono molto comuni. Il dato più allarmante è che ci sono ancora Stati membri dell’Onu, perlopiù in Africa e in Asia, dove un atto sessuale tra persone dello stesso sesso può essere punito con la pena capitale.
Ci sono molti paesi con leggi più positive e protettive: 70 Stati delle Nazioni Unite hanno leggi che proteggono la comunità Lgbt della discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale sul luogo di lavoro e 13 Stati hanno una disposizione costituzionale che specifica l’orientamento sessuale nelle loro clausole sulla discriminazione. Mentre 40 Stati hanno promulgato una legislazione che persegue il reato di odio e incitamento all’odio.
Riguardo al matrimonio omosessuale e alle unioni civili, ci sono 22 Stati che riconoscono il primo e 24 il secondo. Per quanto concerne le adozioni, ci sono attualmente 26 paesi che prevedono quelle ordinarie e 23 che permettono la “stepchild adoption”.