Pericolo amianto e disastro ambientale. Parole ripetute come un mantra che non fanno che aumentare l’inquietudine creatasi fra i cittadini del litorale laziale (e non solo) da quando, quattro giorni fa vicino Roma, sulla Pontina, nello stabilimento della ditta ‘Eco X’, è andato a fuoco un impianto che era stato autorizzato dalla Regione Lazio per la gestione di rifiuti speciali e industriali
E, mentre le opere di bonifica sono ancora in opera di completamento, un dubbio è stato già fugato: c’era effettivamente amianto sulla copertura del capannone di stoccaggio.
A dare la notizia è il procuratore di Velletri, Francesco Prete che attraverso una nota ha comunicato: “I primi e parziali esiti delle analisi su campioni, ovvero frammenti di lastre ondulate della copertura interna ed esterna al capannone, repertati sul sito” e dalle prime verifiche “ha rilevato la presenza di amianto sul materiale campionato, pur non essendo ancora in condizione di misurare l’entità di tale sostanza nociva e, di conseguenza, il grado di inquinamento eventualmente generato dal cemento amianto”.
“Tale risultanza – ha sottolineato il procuratore – verrà portata a conoscenza delle competenti autorità amministrative già oggi. L’Arpa sta svolgendo verifiche sulla presenza nell’aria di particolato, di diossina e di idrocarburi. Sono pertanto in evoluzione i piani di monitoraggio di Asl e di Arpa al fine di valutare l’impatto delle emissioni nell’aria e sul suolo e si prevede che nella giornata di venerdì 12 maggio possano pervenire alcuni dati significativi”.
Ad oggi, quindi, i pareri risultano essere ancora discordanti. L’Arpa Lazio, l’agenzia regionale per la Protezione Ambientale della Regione Lazio, ha diffuso nei giorni scorsi una nota dove si attestava che la qualità dell’aria, (a due giorni dal rogo), non superava i livelli stabiliti per legge.
La Asl invece, anche se in attesa del campionamento speciale da parte dell’agenzia regionale, ha intanto confermato la presenza di amianto incapsulato nel tetto.
Secondo la dottoressa Antonietta Gatti, scienziata ed esperta di nano patologie, prima di creare inutile apprensione nella cittadinanza bisognerebbe fare un’analisi attenta dei rischi: “L’Arpa può analizzare facilmente la nube sia per valutare la parte inorganica che quella organica. Per fare misure di diossine o di idrocarburi ci vogliono parecchi giorni, ma per analizzare la polvere nera bastano poche ore. Con una pompa aspirante si possono poi campionare le polveri definendone le dimensioni e la quantità. Con un’analisi di microscopia elettronica si possono vedere le morfologie delle particelle e le dimensioni. Si possono poi analizzare le diverse composizioni”.
“Se ci sono anche fibre di amianto o altri composti intrappolati nella matrice organica (idrocarburi) è possibile rilevarle – conclude Gatti – Il nerofumo è invece una polvere di idrocarburi. Al momento, non avendo ancora i dati dell’Arpa, ne le composizioni chimiche del nerofumo, non posso quantificare tantomeno ipotizzare i rischi per le cittadine vicine. Per questo ci tengo a ribadire: un’analisi seria si fa con i dati”.
Dello stesso avviso è anche Fabrizio Protti, il presidente dello ‘Sportello amianto nazionale’, da sempre impegnato a mettere in connessione politica, istituzioni e terzo settore, nella lotta all’eternit: “Nonostante sia un dato di fatto la presenza di amianto sul tetto del capannone andato a fuoco – spiega – l’allarmismo in questo momento non è certo pertinente per arrivare alla soluzione. L’Arpa dovrà fare le verifiche non solo sulle sostanza tossiche nell’aria, ma anche sulle eventuali fibre d’amianto ricadute sul territorio per capire esattamente dove sono arrivati questi eventuali e pericolosi filamenti. Sì, perché nonostante il crisotilo (la fibra appartenente all’amianto) durante un incendio non cambia la sua struttura molecolare, le lastre che componevano il tetto a causa del calore si saranno quasi certamente spaccate, ricadendo poi in terra. Questo potrebbe aver comportato il loro danneggiamento. E come sappiamo – continua Protti – i materiali componenti amianto diventano realmente pericolosi quando risultano abrasi o danneggiati. Quindi in questo determinato caso l’opera di bonifica non sarà semplice, ma al contrario dovrà essere fra le più attente e complete”.
E ancora, aggiunge l’esperto, “inviterei anche a riflettere sul fatto che in Italia, questo deposito di stoccaggio di rifiuti ‘speciali’ non è il solo. Ce ne sono molti altri e non a norma, sparsi nella penisola. C’è bisogno di una seria normativa che potrebbe essere pertinente soprattutto in tema d’amianto. Questi impianti, che sono stati sempre un problema per la ‘sicurezza ambientale’, godono di un’ autorizzazione semplificata che non dà molte certezze su chi e su come vengono gestiti questi impianti. E i danni possono essere molto elevati, sia per il territorio che per la cittadinanza stessa”, termina cil presidente di ‘Sportello Amianto Nazionale’.
E sulla certezza della presenza di amianto, senza però gridare al danno ambientale a tutti i costi, si è pronunciata anche Maura Crudeli, presidente Aiea onlus, Associazione italiana esposti amianto: “ Quel capannone con tetto in eternit era già stato segnalato nella mappatura fatta anni fa dal Centro regionale amianto. Quindi non abbiamo dubbi sul fatto che fosse presente in loco amianto in matrice compatta. E aggiungiamo anche che il fatto che se fosse stato incapsulato, ossia trattato con prodotti penetranti e ricoprenti che impediscono la dispersione delle fibre in aria, quel luogo sarebbe stato reso più sicuro”.
“Adesso la questione urgente è la seguente – prosegue Maura Crudeli – la copertura di eternit a causa dell’incendio é crollata e crollando si è rotta, rendendo quel materiale non più sicuro, ma materiale degradato che può rilasciare fibre nell’aria e quindi essendosi unito poi ad altro materiale bruciato andrà trattato e bonificato con tutte le accortezze e le misure di sicurezza previste dalla bonifica di siti con rifiuti pericolosi. Se durante l’incendio le lastre di eternit sono andate poi incontro a disgregazione per le elevate temperature e quindi hanno rilasciato fibre che si sono aereo disperse nella area circostante ce lo potrà dire l’analisi dell’aria e del terreno che farà l’Arpa e che ci darà la misura del danno provocato dall’incendio”.
“Come Aiea – conclude la presidente – siamo in costante contatto con la Regione Lazio, il Centro regionale amianto, Arpa e le Asl competenti. Appena avremo dati certi alla mano, potremo dare anche noi una valutazione dell’accaduto e invitare i cittadini delle zone colpite a comunicare al proprio medico di base l’esposizione avvenuta in questi giorni. Sia chiaro inoltre che aver inalato fibre di amianto non da nessuna sintomatologia rilevabile nell’immediato dai dottori. E’ quindi inutile intasare pronti soccorsi o allarmarsi. Mi preoccupa molto di più la possibile presenza di diossina”.
Pertanto, in attesa dei dovuti esami di verifica finali che accerteranno in maniera precisa e specifica, la presenza o meno di fibre di asbesto sul territorio, bisogna ricordare che in quella stessa zona, come riferito dalla stessa presidente Aiea, c’è un grande presenza di tetti in eternit non incapsulati e quindi anche in mancanza di incendi, ugualmente pericolosi per tutti i residenti.