Chi promuove una delegittimazione dei soggetti Search and Rescue (Sar), ovvero tutti gli attori coinvolti nelle operazioni di recupero e salvataggio dei migranti, promuove le politiche dei respingimenti. Crede che le politiche di accoglienza in Italia subiscano non solo una battuta di arresto, ma che possano anche intraprendere un percorso opposto, la militarizzazione del Mediterraneo e la chiusura delle frontiere. È questa la tesi contenuta nel rapporto “Navigare a vista – Il racconto delle operazioni di ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo centrale”, presentato lo scorso 29 maggio presso l’Associazione Stampa Estera da Osservatorio di Pavia, Associazione Carta di Roma e Cospe.
Viaggi della speranza, emergenza profughi, rifugiati politici, “Mediterraneo tomba dei migranti”. Terminologie e immagini che quotidianamente troviamo nelle pagine dei giornali e nei servizi televisivi che raccontano un dramma che va avanti da anni, ovvero le traversate di migranti dal sud del mondo verso l’Europa in cerca di migliore fortuna. Le operazioni di ricerca e soccorso occupano il 13% delle notizie sull’immigrazione nei principali quotidiani italiani e nel 18% dei servizi sull’immigrazione dei tg in prima serata, legati soprattutto al racconto di naufragi (39%) e ad azioni di salvataggio (22%). Il Rapporto analizza 400 tweet sulle operazioni Sar postati dagli account ufficiali delle Ong più attive, di Eunavfor Med, della Marina militare e della Guardia Costiera italiana. Dal confronto emergono significative differenze nel racconto delle operazioni di salvataggio da parte degli stessi attori coinvolti: se quello delle Ong è un racconto costante nel tempo e spesso emotivo, che si sofferma sulle persone soccorse, quello di Eunavfor Med e della Marina è un racconto più tecnico, focalizzato sulla gestione delle azioni di intervento. Nel mezzo si pone la Guardia costiera, che alterna entrambe le tipologie di comunicazione.
Diverso anche il linguaggio usato: gli attori civili parlano più spesso di “persone” salvate (nel 42% dei loro tweet), quelli militari di “migranti” (nel 77% dei loro tweet). Il racconto delle Ong è empatico nel 53% dei casi, mentre lo è solo nel 6% dei tweet delle organizzazioni militari. Ed è solo nel racconto delle organizzazioni non governative che troviamo riferimenti anche a ciò che accade prima e dopo il soccorso. “Nel caso dei soccorsi viene data voce ai protagonisti, esperti, operatori Sar o migranti che siano, nel 67% dei casi”, afferma Paola Barretta, ricercatrice senior dell’Osservatorio di Pavia.
Con l’avvio di Mare Nostrum nell’ottobre 2013, in risposta ai tragici naufragi avvenuti il 3 e l’11 dello stesso mese, le operazioni di ricerca e soccorso diventano centrali nel racconto dell’immigrazione: dagli arrivi sulle coste italiane agli incidenti, fino alla cronaca degli interventi stessi. “Una narrazione che fino al 2016, se confrontata alla rappresentazione di migrazioni e migranti nel loro complesso, rappresenta una buona pratica”, si legge nel Rapporto. Nonostante il tema dell’immigrazione crei divisioni, quello delle Sar è un racconto positivo che mette al centro i protagonisti del soccorso e le loro azioni. Organizzazioni e esperti hanno voce in oltre la metà dei servizi, vengono presentati come “angeli del mare”, e le operazioni vengono raccontate evidenziando tutti gli aspetti legati alla solidarietà e all’accoglienza. Se nel totale dei servizi prime time sull’immigrazione, migranti, rifugiati e immigrati stabilmente residenti in Italia hanno voce solo nel 3% dei casi, la percentuale sale al 14% quando si tratta di notizie relative alle Sar.
Questo, almeno, fino ai primi mesi del 2017. Poi tutto cambia. Ad invertire la rotta e soprattutto l’immagine dei soccorritori, trasformati da “angeli” a “taxi”, sono certamente le ombre gettate dalle parole del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, sull’operato delle Ong. “La narrazione delle operazioni Sar porta con sé diversi rischi tra cui la legittimazione di politiche migratorie più restrittive e la criminalizzazione della solidarietà”, attacca Valeria Brigida, giornalista freelance tra gli autori del rapporto. Non solo: i media, si legge nel Rapporto, “talvolta confondono e sovrappongono i ruoli di organizzazioni militari e Ong, mentre la diversità della loro natura e delle loro missioni è emersa anche, come osservato, nelle modalità di comunicazione da esse adottate”.
Per Anna Meli, esponente Cospe, “interrogarsi su cosa davvero succeda a livello di politiche globali è un dovere, ma come giornalisti è importante domandarsi perché stia accadendo un certo fenomeno e dove un certo tipo d’informazione istituzionale ci vuol portare a ragionare”. Parole condivise da Pietro Suber, vicepresidente dell’Associazione Carta di Roma: “Bloccare i migranti diventa la risposta più facile della politica agli umori della piazza. In questo contesto la ricerca che presentiamo oggi assume un particolare interesse per comprendere come si sta trasformando uno dei temi principali del nostro dibattito mediatico”. Le ombre alimentate dal sospetto per l’attività di alcune Ong sono difficili da scardinare e, come sostiene, François Dumont, direttore della comunicazione di Medici Senza Frontiere, “C’è la richiesta all’Europa di mettere in atto delle politiche concordate di Sar ma soprattutto di creare dei corridoi sicuri per arrivare in Europa”.
@PiccininDaniele