Se cercate su Google “crisi economica italiana” troverete pessime notizie. Secondo il Fondo monetario internazionale non finirà prima del 2020, ma c’è anche chi sostiene che ci vorranno altri 40 anni, e forse una terza guerra mondiale. Ma di fronte al triste scenario delle numerose aziende costrette a chiudere o licenziare i propri dipendenti per evitare il fallimento, c’è un mercato che continua a crescere a doppio ritmo rispetto al Paese: quello delle armi.
Secondo la relazione governativa sull’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, il totale delle esportazioni per l’anno 2016 è cresciuto del 197% rispetto al 2014. Un giro di vite di 14,6 miliardi di euro, che continua a crescere anche grazie agli ingenti investimenti bancari. Gli istituti di credito investono ogni giorno milioni di euro nel mercato militare dei programmi intergovernativi. Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il giro di denaro delle banche italiane nel 2016 è di 1 miliardo di euro. Tra gli istituti di credito più attivi Unicredit Spa (oltre il 27% degli investimenti) Intesa San Paolo, BNL, Banca Popolare di Sondrio. Ma anche Deutsche Bank, Bnp Paribas e Barclays.
Aeronautica, elicotteristica, nuove tecnologie, cantieristica navale, ma anche “bombe, siluri, razzi, missili e accessori” tra le unità di armamento più richieste. In cima alla lista delle aziende produttrici ci sono le ditte appartenenti al gruppo Leonardo (ex Finmeccanica). Tra le varie società troviamo Avio Spa (più di 4 milioni), partecipata da Finmeccanica e General Electric, che fino al 2012 operava nel settore aeronautico e aerospaziale. Ad aprile scorso Avio ha debuttato nel segmento Star del Mercato Mta di Borsa Italiana dopo l’approvazione di ottimi esercizi di bilancio per il 2016. Prodotti da Avio componenti e missili antiaerei “Aster 30” e “Aster 15”.
Tra i primi 10 Paesi che investono nelle armi ci sono Emirati Arabi e Arabia Saudita
Secondo il Report i flussi di esportazione crescono verso i Paesi dell’Unione Europea e alleati Nato (22,35%), ma nella classifica degli investimenti, tra i primi 10 Paesi compaiono Emirati Arabi e Arabia Saudita. Il Medio Oriente rimane terra d’oro per il mercato delle armi, destinazione del 59% dell’export militare. Come scrive Alberto Negri sul Sole 24 Ore, il dato politico è la presenza tra i maggiori esportatori delle monarchie arabe. In cima il Kuwait, destinatario della maxi commessa di 28 Eurofigter della Leonardo, poi Emirati, Arabia Saudita e Qatar, che ha aumentato l’import del 245%.
I sauditi raccolgono autorizzazioni per un totale di 485 milioni di euro, quasi il doppio dell’anno precedente. Bombe, siluri, missili, aeromobili e apparecchiature elettroniche per un Paese che di fatto è l’attore principale di un conflitto in corso da ormai più di due anni nel vicino Yemen. Una contraddizione rilevante della legge 185/90, che vieta la vendita di armi a Stati coinvolti in un conflitto. Proprio la Rheinmetall, produttrice delle bombe che dalla Sardegna partono per l’Arabia Saudita, balza dal diciannovesimo al terzo posto delle aziende produttrici, nello scalpore mediatico e nell’indifferenza politica.
In una situazione contraddittoria e analoga troviamo i rapporti con Israele. Dallo scorso anno delegato permanente presso la Nato, il Paese al centro da decenni di una situazione politica in continuo conflitto. Proprio nel 2016, Israele ha attivato un piano di potenziamento tecnologico militare che lo tiene, ancora oggi, tra i maggiori produttori ed esportatori di armi. Nel 2015, tra i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia era il primo rifornitore di Israele. Oggi, l’export verso Israele frutta 120 milioni di euro. Poco meno arriva da un altro Paese con cui l’Italia fa affari d’oro, il Pakistan. Come riportato sul Tribune, pochi giorni fa è avvenuto il contatto tra il capo di Stato maggiore Danilo Errico e il suo omologo pakistano Qamar Javed Bajwa, per fare il punto sull’Operazione Fasaad. Un’azione antiterrorismo che ha portato nel Paese asiatico all’approvazione di una Super Tax per finanziare le spese militari. Dall’Italia sono arrivati, nel 2016, armamenti per 100 milioni di euro.
Contemporaneamente al boom dell’export, anche la spesa militare italiana è salita lo scorso anno a 27,9 miliardi di dollari. Un risultato che non sembra soddisfare ancora i vertici istituzionali. Il vero obiettivo è raggiungere la soglia decisa dalla Nato: raggiungere il 2% del Pil. Sulla spinta del Presidente degli Usa Donald Trump, che vuole tagliare le spese militari americane, l’Europa deve contribuire di più alla propria difesa. Un dettame che è stato accettato con orgoglio anche dal Belpaese. Come ha recentemente dichiarato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: «L’Italia partecipa a testa alta all’Alleanza Atlantica, nella quale è il quinto maggiore contributore, e conferma l’obiettivo di raggiungere il 2% del Pil nelle spese militari».Una politica che sembra lontana anni luce dal dettame costituzionale.
@CastoldiSimona