“Oggi la vera riforma di giustizia è la creazione di una giurisdizione sovranazionale”. È la ricetta del Guardasigilli Andrea Orlando, fresco candidato alla poltrona di segretario del Partito Democratico, per sconfiggere le mafie globali almeno nell’ambito dell’Unione Europea.
Le parole arrivano dalle aule della facoltà di lettere e filosofia della Sapienza di Roma, dove il ministro ha inaugurato una serie di dieci incontri a tema “Mafie e rotte”. L’iniziativa ha portato nel quartiere San Lorenzo, nella sede distaccata della facoltà umanistica, anche il procuratore generale della Capitale, Giuseppe Pignatone, che si è occupato invece di ripercorrere le tappe della sanguinosa lotta fra lo Stato e la cupola dei Corleonesi. Senza omettere errori e cadute di una guerra durata decenni, il procuratore della Repubblica ha chiarito che senz’altro “quella mafia è stata sconfitta”, quella battaglia contro la criminalità organizzata è stata vinta dalle istituzioni.
“È in periodi di crisi come questi che la cessione di sovranità spaventa – ha spiegato il ministro Orlando durante la tavola rotonda – per cui gli stati nazionali si chiudono a riccio”. La cessione sul piano del diritto penale, per Orlando, è chiaramente l’unica via alla vittoria contro le mafie. Anche se questo significherebbe, come da lui stesso ammesso, una ulteriore cessione di sovranità nazionale.
Altro passo importante sarebbe creare un mercato regolamentato da un quadro normativo più stringente. Maxi transazioni di denaro non possono avere poche informazioni sulla loro natura e viaggiare di conto in conto, magari in trasferimenti intercontinentali. Ma questo è ancora la regola.
Un intervento a tutto tondo quello di Orlando, che non ha mancato di dare una spallata agli avversari politici su un tema controverso come quello dell’immigrazione. “Non si può respingere, o pensare di farlo, questa ondata”. Sono soluzioni non possibili secondo l’inquilino di via Arenula.
Nel pomeriggio uggioso che ha caratterizzato le ore in cui si è svolto l’incontro, il ministro Orlando ha spaziato su un campo molto largo, dando una definizione di mafia non più “localistica” o legata al territorio del sud, secondo l’immaginario comune, ma di un fenomeno liquido, capace di cambiare la sua struttura più velocemente delle organizzazioni che la combattono. Per questo l’unico bagliore di luce che Orlando vede è quello che viene da una struttura internazionale che combatta il crimine in tutte le sue specializzazioni: ambiente, sfruttamento dell’immigrazione per traffici di esseri umani e maxi-investimenti.
A seguire l’intervento del ministro Orlando è stato l’excursus storico – criminologico del procuratore capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone.
Questi ha voluto sì parlare di mafia, ma in quell’accezione che tutti nel nostro Paese hanno sentito, volendo spiegare perché quella era mafia e come è stata sconfitta.
Il focus di Pignatone si è infatti fermato a un tema che il procuratore ha avuto modo di conoscere bene: la mafia dei Corleonesi, durata secondo il magistrato dagli anni Sessanta fino al 2006, con la cattura di Bernardo Provenzano.
Pignatone ha individuato nella “sfida allo Stato” la peculiarità di quella criminalità. Non più connivenza con le strutture istituzionali, ma il volersi sostituire ad esse. Questo caratterizzava Cosa Nostra.
Una lotta, che secondo Pignatone, è stata vinta grazie al sangue di Piersanti Mattarella, ucciso dalle cosche quando era presidente della Regione Sicilia, alla creazione del maxi-processo, all’introduzione del reato di associazione mafiosa nel codice penale, al 41 bis e anche grazie all’ergastolo. La convergenza con il terrorismo politico, che nella fine degli anni ’70 avrebbe raggiunto il suo acme con il sequestro e poi l’uccisione dell’esponente massimo della Dc Aldo Moro, avrebbe spinto quella cupola a far guerra alle istituzioni, che avevano spostato tutte le risorse dal Sud al Centro-Nord per combattere l’eversione politica.
“È vero che quel terrorismo non attecchì al sud perché il territorio era presidiato dalla Mafia, ma questo si pagò” e a caro prezzo, secondo Pignatone. La lotta fu sanguinosa ma fu vinta.
Oggi è la ‘ndrangheta a dominare la scena perché gode di quella credibilità che Cosa Nostra ha perso. Ed è soprattutto la ‘ndrangheta, per il suo carattere aggressivo e fortemente espansivo all’estero, la mafia che lo Stato deve combattere. E vincere.