C’è chi denuncia e chi invece è complice. C’è chi riceve minacce soltanto per aver detto la verità, e chi invece sta seduto sulla sua comoda poltrona smuovendo traffici illeciti di armi e droga. C’è chi sceglie la strada della legalità e chi rimane appeso a un filo.
Questa è la storia di Cinzia Franchini, una donna che ha voluto dire la sua, denunciando il radicamento mafioso da parte di clan affiliati a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta. Gli stessi che operavano all’interno di società facente capo alla CNA-FITA (Centro Nazionale di Autotrasporto), ovvero l’azienda di cui Cinzia è tutt’ora presidente.
Dopo le prime denunce da parte della CNA-FITA nei confronti di società affiliate, partono le prime inchieste: i processi diventano molti, le udienze almeno due a settimana. Operazione Caronte e inchiesta Aemilia. Sono queste le indagini in corso.
Tutto ha inizio nel 2011 quando Cinzia, ex trasportatrice, dopo aver maturato interessi per questioni sindacali diventa presidente nazionale della CNA-FITA (Centro Nazionale di Autotrasporti). La società Fita è “un’unione di mestiere rappresentante tutte le categorie operanti nel settore del trasporto e della mobilità – si legge negli atti – e ha lo scopo di rappresentare e tutelare gli interessi dei propri associati, nei confronti delle Istituzioni pubbliche, della Pubblica Amministrazione, delle Organizzazioni sociali, economiche e politiche nazionali, comunitarie ed internazionali, al fine dello sviluppo delle aziende degli associati e della crescita professionale ed imprenditoriale degli stessi”.
All’unione CNA-FITA aderiscono le imprese artigiane e le piccole e medie imprese associate alla CNA in qualunque forma giuridica riconosciuta dall’ordinamento interno o comunitario. Gli associati all’Unione al 31 dicembre 2014 sono 25.466 mila.
Siamo nel 2012 quando arriva il momento di intervenire. “Il settore dell’autotrasporto è uno dei settori più inquinati in Italia dai clan mafiosi”, spiega Cinzia che, dopo aver preso il comando dell’azienda, scopre di aver, all’interno della società, numerosi soggetti sospetti, presumibilmente legati ad esponenti di clan di stampo mafioso. Proprio in quell’anno la Presidente Nazionale del Centro di Autotrasporti decide di iniziare a denunciare.
La bomba viene innescata. Comincia così la battaglia per la legalità tra gli autotrasporti. Le operazioni antimafia iniziano nel 2014. Partono due inchieste, l‘operazione Caronte (si svolge a Catania) e il processo Aemilia (vede protagonista le città di Reggio Emilia). Proprio in quest’ultimo, a dibattimento ci sono quasi 150 imputati, molti dei quali accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Altri 70 sono stati giudicati e in gran parte condannati in rito abbreviato.
Nell’Operazione Caronte sono almeno 100 gli indagati e 23 gli arrestati. L’inchiesta vede al centro dell’indagine il boss Vincenzo Ercolano (arrestato nel novembre 2014) che avrebbe trasportato merci illecite tramite i servizi della sua azienda (Geotrans).
Cinzia, dopo aver ricevuto proiettili e minacce, va comunque avanti e nel febbraio 2015 depone davanti alla Commissione antimafia. Fa nomi e cognomi, partendo dagli esponenti che avrebbero gravemente danneggiato la sua azienda fino ad arrivare a Vincenzo Ercolano, presidente della Geotrans (società affiliata alla CNA-FITA) e maggior esponente del clan di Cosa Nostra catanese, Santapaola. L’atto di costituzione di parte civile si basa sulle attività investigative concluse nell’indagine Caronte, ma anche sugli esiti dell’inchiesta Iblis sulle famiglie di Catania, Ramacca e Caltagirone, che ha permesso di fare luce sull’evoluzione di Cosa Nostra.
Gli investigatori, proprio attraverso l’indagine Caronte, hanno individuato anche alcuni settori nei quali si sarebbe infiltrata l’organizzazione, evidenziando così il ruolo di Vincenzo Ercolano.
“L’attività di traghettamento – emerge da un rapporto del Ros di Catania – si protrasse per circa 90 giorni con ottimi risultati nei mesi a cavallo tra gli anni 2005 e 2006, fino a quando si interruppe improvvisamente la navigazione con consistenti danni per la Servizi autostrade del mare”. In questo ambito avrebbe operato Vincenzo Ercolano, titolare di imprese di trasporti di considerevoli dimensioni, che, scrive il Ros, “per implementare i propri affari ha utilizzato non solo la forza di intimidazione derivante dalla sua appartenenza anagrafica ad una delle famiglie che da decenni costituiscono la famiglia catanese di Cosa Nostra, ma anche i poteri e le facoltà connaturate alla sua effettiva appartenenza a quest’ultima famiglia”. Secondo queste inchieste la mafia operava anche attraverso imprenditori, politici e giornalisti disposti a tacere pur di aggiudicarsi una fetta della “torta”.
“L’autotrasporto è uno dei settori maggiormente a rischio di radicalizzazioni mafiose – prosegue Cinzia – La CNA-FITA comprende tutte le piccole e medie imprese di trasporto di merci e di persone; di conseguenza, le infiltrazioni avvengono in tutti i vari settori del trasporto come lo smaltimento di rifiuti, medicinali, petrolio, deportazione alimenti e via dicendo”.
La ‘Ndrangheta e Cosa Nostra sono le più pericolose anime imprenditoriali delle organizzazioni malavitose e puntano ad accaparrarsi ingenti somme di finanziamenti pubblici attraverso le loro strutture di servizio (Ecobonus), per poi condizionare il mercato. La mafia si addentra ovunque, uccide, trasporta illegalmente. E’ il mezzo per ottenere il potere assoluto, è il fine per raggiungere il massimo della ricchezza.
In questo mondo, che è sempre più corrotto, c’è chi ancora ha la forza di denunciare e combattere per riuscire a risanare almeno una parte della società che ancora ha dei valori, che rispetta le tradizioni e crede in un mondo pulito. Abbiamo raccolto la testimonianza della presidente della CNA-FITA in un’inchiesta che finalmente porterà alla luce tutti i vari tasselli oscuri del “Caso Ercolano”.