L’ondata di terrore colpisce ancora in Europa e in Italia nel colpevole silenzio del mainstream, mentre l’Isis rivendica l’ultimo attacco condotto il 25 giugno scorso a Wurzburg in Germania.
Lo ha fatto con un messaggio postato su un canale crittografato di Telegram con un poster e un video dedicato al miliziano somalo, il tutto accompagnato da un Nasheed (canto rituale) che recita “è bene che tu uccida un infedele”.
Secondo fonti di Polizia, il pluriomicida di Wurzburg avrebbe confessato di avere agito per l’ideale della jihad e raggiunto il suo obiettivo.
Il 24enne somalo era arrivato a Lampedusa nel 2015, probabilmente salvato in mare da una caritatevole Ong. In seguito ha raggiunto la Germania, dove ha continuato nel percorso di radicalizzazione, così come emerso dalle indagini successive alla morte di 3 donne ( di 24, 49 e 82 anni) e del ferimento di altre 6 persone colpite a caso nel centro della città bavarese.
In merito alla personalità dell’attentatore, il ministro dell’Interno tedesco, Joachim Herrmann, non ha trovato di meglio che dichiarare ai giornalisti che l’accoltellatore era “malato di mente”, ed era stato precedentemente “sottoposto a trattamento psichiatrico forzato”. È noto, infatti, che i casi di clandestini psicopatici entrati in azione sembrano crescere vertiginosamente in tutta Europa. Nella sola Wurzburg, quello del somalo è il secondo incidente del genere in cinque anni. Nel 2016, un richiedente asilo afgano aveva accoltellato quattro persone con un coltello e un’accetta su un treno in corsa nei pressi della città bavarese. La polizia, in quel caso, aveva sparato all’aggressore e le indagini successive avevano poi chiarito i contatti dell’afgano con membri dell’Isis, ottenendo la confessione del giovane che dichiarava di voler diventare un “martire”.
L’Isis invita all’azione per seminare il terrore in Europa
Il 22 giugno scorso, un nuovo file audio dello Stato islamico era stato diffuso da “Al Furqan”, braccio mediatico del gruppo terroristico. A parlare per 37 minuti e 41 secondi non è però il sedicente “califfo” Abu Ibrahim al Hashimi al Qurash, ma il suo portavoce Abu Hamza al Quraishi. Nell’audio messaggio, oltre a rinvigorire le attività dei miliziani, al Quraishi invitava a nuove adesioni finalizzate alla rinascita dello Stato islamico.
Lo scorso anno, al precedente messaggio del Daesh, era seguita la strage perpetrata il 2 novembre a Vienna dal miliziano macedone Kujtimi Fejzulai che aveva ucciso quattro persone. Anche in questo caso le indagini successive avevano portato alla luce due diverse basi dedite al traffico di documenti, Bari e Varese, dove rispettivamente il cittadino ceceno Turko Asimenov e l’algerino Athmane Touami erano dediti alla contraffazione di documenti e allo smistamento degli stessi nell’ambito del circuito jihadista di miliziani provenienti dal Maghreb e dalla Siria.
In particolare, Touami è risultato agire a stretto contatto con una cellula del Belgio da dove era arrivato nel capoluogo pugliese, dopo avere iniziato la sua carriera come borseggiatore svolta a fianco dei suoi fratelli, Mehdi e Lyes, anche questi inseriti nel circuito jihadista europeo.
Il gruppo “Touami”, capeggiato a Athmane radicalizzatosi nella moschea londinese di Finsbury Park, è risultato agire in sinergia con cellule paritetiche operative in Spagna, Francia e Belgio, tutte legate allo Stato islamico.
La scia del terrore in Europa colpisce anche l’Italia
Il 25 giugno a Laives (Bolzano) un clandestino africano, armato con mazza di metallo e pietre, ha attaccato anziani, donne e bambini. Nove persone sono state ricoverate in ospedale. Tra quelli che hanno avuto la peggio un 15enne a cui l’uomo ha spaccato una bottiglia in testa. L’immigrato è stato poi bloccato dagli agenti di Polizia e denunciato.
A Roma, in piazza San Pietro, un 46enne magrebino di nazionalità francese, Mahmoudi Khairddine, già noto alle forze dell’ordine, brandendo un coltello rubato poco prima in un ristorante, ha iniziato a minacciare i passanti urlando: “Vi ammazzo tutti”. Bloccato dagli agenti della Polizia locale e condotto negli uffici del Commissariato, veniva trovato in possesso di altri otto coltelli occultati nello zaino che portava in spalle e conseguentemente denunciato.
Sempre nella scorsa settimana, a Roma, un immigrato del Ghana aveva seminato il panico nei pressi della Stazione Termini. Armato di un coltello, aveva minacciato i passanti e gli agenti di polizia intervenuti. In questo caso, però, seguendo le più basilari regole d’ingaggio, un agente ha neutralizzato l’assalitore riducendolo a più miti consigli. Anche qui, come ormai abitudine consolidata, il comportamento dell’africano sarebbe stato giustificato da non meglio diagnosticati “disturbi psichici”, mentre nei confronti il poliziotto è stato indagato per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi“, un capo d’accusa che in altri tempi, quando le vite dei togati erano seriamente a rischio, non trovava alcuno spazio.
Un atto dovuto? Assolutamente no
In altri Paesi, le vite di cittadini, magistrati e tutori dell’ordine hanno lo stesso valore e vengono tutelate ben prima di quelle degli assalitori, psicopatici o terroristi che siano. Oltretutto, all’uso legittimo delle armi è dedicato l’articolo 53 del Codice penale che sottolinea chiaramente le fattispecie ove questi è concesso laddove “…è considerato legittimo ricorrere all’uso delle armi quando il pubblico ufficiale deve respingere una violenza – che può essere tanto diretta contro il pubblico ufficiale quanto contro cose o persone che egli ha il dovere istituzionale di proteggere– o vincere una resistenza”. La neutralizzazione della minaccia non prevede l’uso delle armi finalizzato al “ferimento” del soggetto, ma lascia all’operatore delle Forze dell’ordine ampio spazio a decisioni immediate, prese sotto forti pressioni emotive e ovviamente in uno spazio ridottissimo di tempo.
Nel caso specifico, l’agente si è limitato a neutralizzare la minaccia mirando agli arti inferiori e dimostrando una altissima professionalità che ha evitato ulteriori minacce.
Sul conto del ghanese, tratto in arresto, risulta che nell’aprile 2020, era stato denunciato per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale nonché per offesa a una confessione religiosa mentre, nel giugno di quest’anno, era stato nuovamente denunciato per danneggiamento e lesioni per avere lanciato bottiglie contro il centro islamico, ovviamente abusivo, di via San Vito a Roma ferendo anche l’imam.
In capo all’africano, irregolare sul territorio italiano giunto sulle nostre coste clandestinamente, sono emerse difficoltà legate all’attribuzione della nazionalità dovute alla mancata conclusione delle procedure di riconoscimento presso le Autorità Consolari del Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria e Ghana avviate nel 2017 che hanno reso non eseguibili le procedure di espulsione a suo carico.
Il pericolo, dunque, non è più latente ma ben delineato e sostenuto da un’ideologia estrema, chiara ai suoi accoliti disposti a immolarsi per essa.