Da oggi parte Irini, la missione navale europea nel Mediterraneo che andrà a sostituire Sophia. Il nome esatto dell’operazione è Eunavfor Med Irini e avrà il compito di attuare l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi in Libia. E quindi, “attraverso l’uso di assetti aerei, satellitari e marittimi”, la missione “sarà in grado di ispezionare le navi in alto mare, al largo delle coste libiche, sospettate di trasportare armi o materiale correlato da e verso la Libia conformemente alla Risoluzione n° 2292 (2016) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Come compiti secondari, Eunavfor Med Irini dovrà “monitorare e raccogliere informazioni sulle esportazioni illecite dalla Libia di petrolio greggio e prodotti petroliferi raffinati; contribuire al potenziamento delle capacità e alla formazione della Guardia Costiera e della Marina Militare libica nelle attività di contrasto in mare; contribuire alla disarticolazione del modello di business delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento con mezzi aerei”.
È superfluo ricordare, infatti, come nel Paese nordafricano siano presenti moltissime armi con cui si continua a combattere quotidianamente, nonostante i numerosi inviti al cessate il fuoco arrivati dalla comunità internazionale. Molte di queste armi, ad esempio, sono quelle che il presidente turco, Erdogan, ha fatto arrivare in Libia (insieme a suoi soldati e jihadisti siriani) per combattere al fianco di Sarraj e contro il generale Haftar.
Tornando alla missione Irini, dunque, lo spirito dell’iniziativa è quello di arginare l’arrivo di armi per tentare di fermare il conflitto e intraprendere un percorso di stabilizzazione. Alcuni osservatori sono scettici rispetto alla reale efficacia di questa operazione e sottolineano, invece, come Irini possa rappresentare una ulteriore spinta alle partenze di migranti dalle coste libiche. Ma secondo l’Ue, l’operazione non ha il compito di occuparsi dei migranti. Certo, se dovesse essere necessario intervenire per salvare persone in difficoltà, le navi e i dispositivi in campo devono, in base al diritto internazionale, occuparsi degli eventuali naufraghi.
E qui si apre il dilemma dei porti. Una dichiarazione su tutte solleva interrogativi. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, (il successore di Federica Mogherini), parlando della missione ha chiarito: “L’obiettivo è il controllo dell’embargo di armi alla Libia. Se qualcuno viene trovato in mare, come previsto dalla legge internazionale, deve essere salvato. C’è un accordo tra Stati membri su come procedere in caso di soccorso in mare, dove sbarcare e come organizzare il seguito. Ma questa parte della documentazione è riservata”.
Quindi esiste un accordo riservato tra gli Stati membri sulla destinazione degli eventuali migranti salvati in mare. Il motivo di tale riservatezza non è noto. Quindi sono sorti legittimi dubbi sulla questione dei porti e oggi, data di inizio ufficiale della missione, (anche se sempre secondo Borrell per vedere le navi in mare occorrerà ancora qualche tempo), la Farnesina si è preoccupata di specificare che l’operazione Irini “non prevede porti di sbarco in Italia in caso di salvataggi in mare”.
La notizia della missione ha trovato poco spazio sui media. In contesti meno drammatici per il nostro Paese, forse, avrebbe ottenuto maggiore visibilità. Ad ogni modo, anche in Libia il virus covid-19 è arrivato. Al momento, ufficialmente, le persone contagiate sarebbero 10. Ma vale la pena considerare anche questo aspetto in caso di eventuale sbarco migranti.
Un risultato, però, al momento l’Italia lo ha forse ottenuto. Il Comando operativo sarà a Roma e il Comandante dell’operazione è l’Ammiraglio di Divisione della Marina Militare, Fabio Agostini.