“Non credo che il governo di Serraj sia a scadenza. In realtà la situazione sul terreno è molto fluida ed in continuo cambiamento anche se gli scossoni e i colpi di scena che sono stati all’ordine del giorno in questi ultimi due anni parrebbero scongiurati”. Carlo Biffani, esperto di sicurezza e antiterrorismo, chiarisce a Ofcs.Report le evoluzioni dello scacchiere libico: “Sembrerebbe ormai chiaro il fatto che gli unici due attori davvero in grado di giocare la partita del pieno accreditamento internazionale e della credibilità diffusa, oltre che di una auspicata stabilizzazione, anche se con evidenti zone d’ombra ed interpretazioni di comodo, siano lui e il Generale Haftar”, continua il direttore generale di Security Consulting Group.
Dottor Biffani, Haftar diventerà il referente per la comunità internazionale in grado di creare un governo davvero stabile e di unità nazionale?
“Il Generale lo è già almeno per una parte della comunità internazionale e per importanti attori regionali. Lo è poi soprattutto per un player che negli ultimi anni è stato particolarmente attivo e presente in quella parte di scacchiere, ovvero la Russia. Ricevere il Generale con tutti gli onori del caso, a bordo di una portaerei e firmare con lui di fronte a giornalisti, accordi di reciproco sostegno, è certamente qualcosa che va ben al di la del semplice accreditamento di maniera. Per troppo tempo in molti abbiamo atteso di capire quali fossero le reali intenzioni del Generale, e qualcuno dei nostri partner si è mosso con anticipo ed ora può vantare qualche piccolo vantaggio in termini di accreditamento e di relazioni”.
Il ruolo dell’Italia nella stabilizzazione del Paese?
“Credo sia un ruolo importante, anzi per certi aspetti determinante. Al di là della vicinanza geografica, interagiamo con quell’area e abbiamo rapporti consolidati con quel paese da decine di anni, ed è difficile immaginarci tagliati fuori da una dinamica di collaborazione fattiva e di stabilizzazione. La nostra presenza è una garanzia tanto per i libici quanto per la gran parte dei partner occidentali e siamo una realtà della quale bisognerà tener conto sempre più concretamente in futuro”.
L’apertura dell’ambasciata a Tripoli è stata un azzardo?
“Non credo, anzi ritengo sia stato un gesto estremamente coraggioso e che ci darà modo di accumulare un evidente vantaggio strategico. Esserci già dalla prima ora, in situazioni di questo tipo è qualcosa che ha sempre premiato chi se ne è reso protagonista. Ovviamente la cosa comporta dei rischi, ma dobbiamo avere estrema fiducia nelle capacità operative e di relazione della nostra rete di Intelligence e nella diplomazia”.
I nostri militari presenti sul territorio, oltre che nell’operazione Ippocrate, che lei sappia sono impegnati in altro?
“A me non risulterebbe che siano impegnati in attività diverse da quelle note. Vero è che sulla base dell’adeguamento delle garanzie funzionali estese anche agli operatori delle Forze Speciali impiegati in teatro a fianco degli operatori dell’AISE, che da qualche mese possono collaborare e agire pienamente a supporto delle attività di intelligence, non si può escludere che essi siano sul terreno a operare nella raccolta informazioni”.
La presenza dell’Isis, invece, dopo l’intervento della coalizione è diminuita?
“La presenza di Daesh è certamente diminuita ed è attualmente ridotta rispetto ad un anno fa, ma attenzione a considerare quel fenomeno come in via di esaurimento. Non si tratta di una realtà monolitica e strutturata secondo canoni convenzionali ed è difficilissima da annullare, proprio perché composta da componenti diverse e in continua modificazione, che stringono alleanze di comodo che possono esaurirsi anche nel volgere di qualche settimana, ma che trovano terreno fertilissimo nella suddivisione in clan dell’attuale Libia”.
Come si può fare per arginare il problema dei barconi che partono verso l’Italia?
“Coinvolgendo i nostri partner strategici, convincendoli della necessità di collaborare alla stabilizzazione dell’area. Azzerando l’appeal della traversata e combattendo le realtà criminali che su questo scempio hanno costruito un industria. Formando Forze di Sicurezza che abbiano modalità di azione correte e che siano controllate da un governo affidabile. Tornando a parlare di Difesa degli interessi nazionali ed europei senza che questo scateni lamentele e reprimende. Avendo un atteggiamento corretto nei confronti della minaccia, perché di questo si tratta, che flussi simili si trasformino in maniera irreversibile in un vulnus pericolosissimo in termini di sicurezza degli stati membri, posto che questo a mio modesto parere, in qualche misura sta già accadendo”.
A chi è davvero in mano il traffico di esseri umani?
“Non esiste a mio parere e non solo, una sola realtà, una sorta di Spectre, che gestisca in regime di monopolio un simile barbaro mercimonio. Esistono interessi economici che coinvolgono nel business soggetti di diversa estrazione e con finalità differenti. Si va, dai veri trafficanti di esseri umani, ai potentati di clan che agiscono sul territorio, dagli ex generali della Forza Armata di Gheddafi agli ex proprietari della flotta peschereccia. Dai funzionari corrotti ad alcuni elementi della Guardia Costiera. Dai comandanti locali di Isis a quelli che gestiscono ed organizzano traffici di ogni genere ai confini sud del paese. Il panorama è quanto mai vasto, così come imponente è il numero di realtà e di soggetti che traggono enormi guadagni da un simile scempio”.