Fili elettrici scoperti, rifiuti abbandonati, cartoni ammassati, carrelli incustoditi e strumenti carenti. Benvenuti all’ospedale San Giovanni di Roma, dove alcuni reparti offrono uno spettacolo che mal si addice alla cura della persona. La situazione peggiora salendo agli ultimi piani del corpo B della struttura. Una realtà all’avanguardia che tuttavia presenta carenze non trascurabili. È questa la fotografia che emerge passeggiando in uno dei più grandi ospedali della Capitale. Un’istantanea che non è passata inosservata agli occhi della Cgil, che ha iniziato una battaglia per migliorare le condizioni del nosocomio, tutelare i lavoratori e soprattutto i pazienti che quotidianamente affollano le corsie dell’ospedale.
La lettera del sindacato: “Criticità del reparto di Geriatria”
Andiamo con ordine. Partendo dalla scorsa settimana. Sono le 21 quando Francesco, dopo 12 ore di attesa, viene trasferito finalmente nel reparto di Geriatria. Al quinto piano del corpo B, attende nel corridoio che la camera sia pronta ad accoglierlo. Al suo fianco, un foglio appeso sulla bacheca, dà il benvenuto al paziente: “Alla nostra O.S. sono arrivate dai lavoratori segnalazioni in merito a diverse criticità della Uoc Geriatria“, recita il documento firmato da Antonio Coscarella, del coordinamento aziendale della Funzione Pubblica della Cgil. Francesco guarda attonito quel foglietto in cui viene richiesto un incontro con l’azienda per “trovare soluzione valide a sopperire il grave disagio che vivono i lavoratori e tutti i pazienti della Geriatria”. A impaurire Francesco non è lo scontro sindacale. Ma le criticità elencale nell’atto protocollato e appeso nella bacheca pubblica: sei punti che descrivono una sorta di girone dantesco dell’inferno. “Sovraffollamento delle stanze degenti – recita il primo – tutte le stanze sono omologate per 1 posto letto ma vi alloggiano due letti, lasciando in parte mancante il mobilio necessario”. E ancora: “L‘erogatore dell’ossigeno è solo uno per stanza e due stanze ne sono completamente sfornite, gli ambienti sono così stretti che complicano in maniera evidente e critica la mobilità per tutte le attività elettive e soprattutto nelle urgenze”. Fortunatamente a Francesco non serve l’erogatore. L’acqua calda, per lavarsi al mattino, invece farebbe comodo: “Carenza dell’acqua calda – legge il paziente al secondo punto del cartello – Non è presente in tutti i bagni delle stanze dei degenti”. Parzialmente assenti risulterebbero anche “i presidi per la prevenzione delle cadute accidentali”, spiega il punto tre. E poi il quarto: “Risulta presente un solo aspiratore, in parte mal funzionante, per tutto il reparto”. Segue la quinta criticità, ovvero “Abuso del protocollo del sovraffollamento: dal giorno 27 dicembre 2016 a oggi è ancora applicato il protocollo 20340 per il sovraffollamento del pronto soccorso, causando lo stazionamento fisso di due letti, carenti anche essi di spondine per la prevenzione delle cadute accidentali, tavolino per il vitto, comodino, armadio, sedia, ossigeno, aspiratore e aria compressa”. Dulcis in fundo: “Mancanza di un’unità infermieristica, obbligando i colleghi infermieri a seguire straordinari in maniera ciclica”. Insomma: mezzi carenti, personale allo stremo e assenza di servizi essenziali.
Carenza di personale e pazienti fantasma: le testimonianze
Una denuncia, quella appesa nella bacheca, che è possibile riscontrare andando a trovare un parente o un amico ricoverato all’ospedale San Giovanni della Capitale. Così chiediamo conferme, parliamo con dottori e infermieri. Il compito non è facile: “Non possiamo neanche parlare perché anche noi siamo a contratto, quindi oggi ci siamo ma domani ci possono sbattere a casa – spiega rammaricato un uomo con il camice bianco – Meglio stare zitti”. Alcuni operatori sembrano invece una molla pronta a scattare: “Il problema è che siamo due infermieri a turno con ventidue letti . Comunque non è un reparto di chirurgia o specialistica dove si trovano pazienti autonomi, qui nessuno è autosufficiente, purtroppo si è così e lavoriamo veramente in condizioni pessime” racconta una donna. Una frase dipinge la cruda realtà: “Una vita di sacrifici per diventare medico e poi si lavora così, questo mi dispiace”, si sfoga un dottore borbottando.
In giro per il nosocomio fili elettrici penzoloni, letti accatastati, rifiuti abbandonati e aste per flebo attaccate con lo scotch confermano le parole pronunciate dal personale. E poi ci sono loro, i pazienti, la ragione stessa dell’esistenza di una struttura ospedaliera: “Non sono molto anziano, a 65 anni non è poi così bello esser trasferiti nel reparto di geriatria – racconta un malato – Ho un problema allo stomaco, ma purtroppo il reparto di competenza era sovraffollato e questo era l’unico posto letto rimasto. Ovviamente mi sono accontentato. Certo, mia moglie quando viene a trovarmi non sa dove mettersi, è un problema anche portare una sedia, davvero non riusciamo a muoverci. La stanza – continua – sarà omologata per una persona perché davvero non capisco come possano entrarcene due. Non c’è acqua calda. Gli infermieri tardano sempre ad arrivare, ma non è colpa loro, come si fa a gestire un reparto con ventidue posti letto, due infermieri e un Oss?”. Francesco è invece disteso sul letto, senza spalliere di protezione, nessun attacco per l’ossigeno e del personale infermieristico neanche l’ombra. In poche ore è diventato un paziente fantasma. Come i tanti che affollano i diversi reparti dell’ospedale.
L’ospedale: “Occorre pazienza, la bacchetta magica non esiste”
Ma attenzione. Il pronto soccorso è stato rimodernato. Il personale si occupa dell’accoglienza. La tecnologia aiuta i parenti a monitorare i propri cari mentre vengono visitati. Diversi eventi scandiscono la vita dei pazienti e il reparto di oncologia è fornito di strumenti nuovi e all’avanguardia. Insomma. Si parla di lavoratori che quotidianamente lottano per la cura delle persone. Di un ospedale che salva la vita a migliaia di malati. Di una struttura che cerca di valorizzare i propri mezzi con le risorse a disposizione. Ma, evidentemente, non basta. Anche se da qualche tempo il nosocomio sta cercando di correre ai ripari. La bacchetta magica ovviamente non esiste. “L’ospedale andrebbe chiuso per fare tutto il lavoro che serve – spiega Anna Spoltore, dell’ufficio comunicazione e marketing – Non possiamo fare tutto insieme. La buona volontà da parte dell’azienda c’è. Abbiamo dei reparti di emergenza, abbiamo bisogno anche di fondi economici, ce la stiamo mettendo tutta – continua la donna – La carenza di personale non l’abbiamo inventata noi. Anche da parte della Regione c’è la volontà di migliorare e procedere a nuove assunzioni. Qualcosa cambierà ma ci sono anche dei tempi tecnici – conclude – Un po’ di pazienza. A noi dispiace che alcuni malati possano avere dei disagi, ma è una situazione che si verifica in queste fasi transitorie. Anche nel reparto di oncologia prima della ristrutturazione hanno subito dei disagi, altrimenti dovremmo chiudere l’Ospedale, ristrutturarlo e riaprirlo”. Forse la verità è racchiusa nell’ultimo pensiero della donna: “Siamo una grande azienda ospedaliera e teniamo conto di tutte le esigenze essenziali, migliorando la qualità della vita, ma non tutto dipende da noi: un pò di pazienza. Le cose si faranno”. E ancora: “Il sindacato vuole tutto e subito ed è anche giustificabile, ma ‘tutto e subito’ non esiste”. Avremmo voluto sentire anche il sindacato. Ma abbiamo solo avuto conferma che quella del San Giovanni è una loro battaglia. Inutile chiedere di parlare con l’autore dell’atto appeso in bacheca, non è stato possibile nonostante le rassicurazioni. E tra sindacato, lavoratori e azienda ospedaliera ci sono loro, i pazienti. C’è Francesco e il suo diritto costituzionale alla salute.