Con la consultazione di domenica 4 dicembre saliranno a tre i referendum costituzionali della storia della Repubblica. Sono soltanto due infatti i precedenti: nel 2001, con una commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, e nel 2006, cinque anni più tardi, su iniziativa del centro-destra. Si tratta di due modifiche, la prima approvata dal popolo italiano a differenza della seconda che, essendo state proposte a pochi anni di distanza, risentono dell’iniziativa politica dell’epoca: mettere le basi per uno Stato federale.
La proposta del 2001, avanzata dall’Ulivo, prevedeva una modifica della seconda parte del Titolo V, una sezione della legge costituzionale in cui vengono disciplinati i rapporti fra Stato e Regioni. Votata e approvata nel novembre 2001 la riforma avrebbe previsto il cambio della preminenza espressa nella Costituzione: sarebbero quindi state elencate le materie legislative in cui lo Stato sarebbe stato l’unico a poter decidere e, di seguito, quelle concorrenti. Sarebbero state fissate le basi del federalismo fiscale, con un fondo di aiuto per le zone più svantaggiate del Paese. Sarebbe stata segnalata l’iniziativa legislativa europea come un paletto della discrezionalità legislativa in Italia. Si mettevano le basi insomma per una decentralizzazione delle responsabilità decisionali.
La riforma proposta nel 2006, soltanto cinque anni più tardi, apparve come molto più radicale: se quella del 2001 avrebbe cambiato 9 articoli, quella proposta dal centro-destra ne avrebbe cambiati una cinquantina della Costituzione del ’48. Lo scopo, simile a quello del referendum che l’Italia si appresta a votare ora, era quello di rendere il Paese più governabile. Il potere sarebbe stato praticamente di una sola Camera, il numero dei rappresentanti di Camera e Senato sarebbe diminuito, il primo ministro sarebbe stato eletto direttamente dagli elettori e sarebbe aumentato il numero di rappresentanti parlamentari nella Consulta. La proposta varata a Lorenzago dal centro-destra non andò in porto, a differenza della proposta dell’Ulivo che venne invece votata dal popolo italiano ed entrò in Gazzetta Ufficiale l’8novembre del 2001.
Due precedenti non sono molti per poter avere indicazioni sul risultato della notte del 4 dicembre, ma alcune possono venire da un rapido confronto sulle proposte costituzionali. A una prima occhiata gli italiani non sembrano gradire i grandi cambiamenti. I 9 articoli che introducono il tema regionale hanno avuto successo in confronto alla proposta berlusconiana di trasformare l’Italia sul calco dell’Inghilterra, con l’elezione diretta del premier. La riforma di Renzi punta il dito contro le lungaggini del processo decisionale e la difficoltà di governare il Paese, cosa condivisa dalla riforma proposta dal centro-destra che era andata oltre la fine del bicameralismo perfetto proposto dalla riforma Boschi. Ma non ebbe comunque successo.
Resta chiaro che due precedenti sono molto pochi per avere un orientamento storico sulla questione, ma rimane il fatto che i punti su cui i legislatori sono intervenuti negli anni rappresentano motivo di scontro per la gestione del Paese da 15 anni. Da quando l’Europa, che ha imposto dei nuovi ritmi alla vita politica e amministrativa italiana, ha cominciato a essere comunità economica e influente sulle vite di tutti i suoi cittadini.