All’indomani dell’avvenuta eliminazione di Yahia Sinwar, capo militare di Hamas e stratega della mattanza del 7 ottobre 2023, occorre riflettere sulle paradossali conseguenze che la morte del “macellaio di Gaza” potrebbe comportare.
Mentre nella Striscia si avverte un sentimento di liberazione da un incubo durato anni, con la figura di Sinwar che ordinava alla popolazione locale di unirsi ai miliziani dell’organizzazione terroristica ed obbligava loro a contribuire alla “causa” ponendosi come scudi umani contro la “barbarie sionista”, in Occidente la scomparsa del leader di Hamas è stata accolta con sentimenti di commozione, disperazione e rabbia da parte di quella fetta degli ormai utili idioti nostrani e d’importazione schierati prevalentemente con la sinistra.
Dalla raccolta di informazioni confidenziali e, più banalmente, dalle cosiddette fonti aperte, si evince che il folle sostegno alle realtà terroristiche mediorientali e, nello specifico a quelle impegnate nella “battaglia per Gaza”, ha condotto ad un accrescimento esponenziale del sostegno internazionale al terrorismo palestinese con conseguenze imprevedibili.
In Italia, così come in molti altri paesi europei, numerose manifestazioni asseritamente “per Gaza”, sono state convocate per il fine settimana con l’onnipresente partecipazione di collettivi squat, universitari, realtà associazionistiche palestinesi così come sindacati, antagonisti e gruppi anarcoidi. Il tutto farcito dalla ormai consolidata nemesi antisionista, anti israeliana e, di conseguenza, antisemita.
Ma i rischi per l’ordine e la sicurezza pubblici travalicano queste puerili convocazioni di piazza.
Già dall’aprile di quest’anno, Moustafa Ayad dell’ISD, direttore esecutivo di AMEA, aveva segnalato come “nei momenti di crisi, sembra che sulle piattaforme come X si ripeta uno schema in cui gli account premium contaminano l’ecosistema informativo con mezze verità e falsità, attraverso media identificati in modo errato e immagini palesemente false che suggeriscono che un evento è stato causato da un determinato attore o stato. Questo continua ad accadere e continuerà ad accadere in futuro, rendendo ancora più difficile sapere cosa è reale e cosa no” (fonte https://www.wired.it/article/israele-attacco-iran-x-disinformazione-foto-video/ ).
Inoltre, parlando di recente con l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle in ordine alla crescente tendenza degli adolescenti a interagire con contenuti dello Stato islamico online, ma anche ad altre realtà contigue al Daesh sebbene ideologicamente distanti, come Hezbollah ed Hamas, Ayad ha sottolineato la “meme-ificazione” e la “TikTok-ificazione” del materiale estremista, rendendolo accattivante attraverso video brevi ed estetici. Questo aspetto “jihadista cool” è diretto ad un aumento della radicalizzazione indotta e ad una completa identificazione nella “causa”.
Moustafa ha sottolineato la necessità di migliori sistemi di rimozione dei contenuti da parte delle piattaforme e ha avvertito che anche gli attacchi spontanei degli adolescenti mal pianificati, sia per l’ordine che per la sicurezza, potrebbero condurre a gravi conseguenze.
L’impatto mediatico della disinformazione e della mistificazione dei fatti propalata dai massmedia tra le frange dei giovani europei, conduce a riflettere sulla crescita esponenziale dell’estremismo, sia esso rivolto a meri scontri di piazza contro le Forze dell’ordine, sia anche per il diretto fenomeno dell’associazionismo tra elementi più radicalizzati e protesi ad elevare il livello dello scontro.
Il seguito ottenuto da alcune realtà associazionistiche legate alla sinistra extraparlamentare ed altre connesse, almeno ufficialmente, al sostegno alla popolazione di Gaza se non ad Hamas, induce a prevedere come il passo tra la protesta popolare di piazza ed il ricorso a metodi ben più violenti, peraltro evocati “sottotraccia” da alcuni protagonisti delle proteste anti israeliane, possa essere assai breve e intrapreso, in chiave anche antigovernativa, in un lasso di tempo non troppo lontano.