Nelle ultime settimane, il terrorismo jihadista ha dato vita ad un fenomeno proporzionalmente inverso. Mentre il Daesh ha perso abbondanti porzioni di territorio sui vari campi di battaglia richiudendosi a riccio nelle poche roccaforti rimaste, abbiamo assistito, invece, a un rinnovato attivismo sia a livello apologetico nei confronti dei vari attacchi compiuti, da Las Vegas a Marsiglia passando per Edmonton, sia anche nella riorganizzazione delle rete jihadista in senso globale.
I proclami di Abu Bakr al Baghdadi, declamati nell’ultimo recente discorso mirati a rincuorare gli adepti ed a incoraggiarli alla resistenza e al contrattacco, hanno fatto seguito a quelli di Hamza bin Laden, che sembra ormai puntare alla leadership assoluta delle rete mondiale della jihad, che ha invitato all’unità dei mujaheddin nella lotta contro l’Occidente in vista dell’obiettivo finale, ovvero la realizzazione del califfato universale.
Il dato relativo alla riorganizzazione dei movimenti jihadisti in chiave anti-occidentale è emerso anche durante la recente conferenza delle delegazioni dei servizi di sicurezza provenienti da 74 Paesi tenutasi a Krasnodar ed è stato enunciato dal capo dei servizi segreti russi, Aleksandr Bortnikov, a margine della riunione. L’alto esponente russo, inoltre, ha dichiarato che i terroristi starebbero creando delle proprie cellule informatiche con un elevatissimo rischio di un cyberattack contro infrastrutture governative, economiche e militari dei Paesi Occidentali.
La conferma del costante attivismo dei gruppi jihadisti, anche in chiave prospettica, si è avuta con la pubblicazione della rivista al Naba che, giunta alla sua centesima edizione, oltre a fornire una completa infografica sull’attacco a Las Vegas condotta da “Abu Abdul Bar al-Amriki”, alias Stephen Paddock, ha invitato le donne ad unirsi alla lotta contro gli infedeli, considerando questa iniziativa un “dovere necessario ed obbligatorio” come già anticipato da questo magazine.
Ma le preoccupazioni legate al crescente fenomeno dello jihadismo non hanno un carattere di specifica localizzazione geografica. Anche in Bosnia Herzegovina, infatti, si sta assistendo al medesimo fenomeno di riorganizzazione dei ranghi dei mujaheddin, presenti in gran numero in alcune enclavi del territorio dell’ex Yugoslavia. Il dato è inquietante se riportato ad assunti del passato, che mostravano chiaramente come le organizzazioni paramilitari musulmane, quali ad esempio l’Aktivna islamska omladina, l’azione islamica giovanile o l’”Unità militare dei Mujahed” fossero sopravvissute al conflitto yugoslavo rimanendo pressoché intatte. Tali formazioni non hanno mai smesso di operare in seno al territorio bosniaco, venendo altresì finanziate da investitori della penisola arabica che per le operazioni di flusso si avvalgono di alcune banche austriache per sovvenzionare i movimenti jihadisti dell’est europeo.
Un quadro sconsolante, quindi, che alimenta sempre più il senso di inquietudine e preoccupazione, ormai non più latenti, che si avvertono in tutto l’Occidente.