“Qual è il nostro crimine? Volevamo solo applicare la sharia”. “Perché tutti i paesi infedeli del mondo si sono riuniti per combatterci? Perché siamo assediati e perché siamo bombardati giorno e notte?”. Se lo chiede, quasi candidamente, tale Abu Abd al-Azeem, membro dell’Isis, che parla in un nuovo video pubblicato nel web dai terroristi. Nel filmato, girato probabilmente a Baghouz, l’ultimo scampolo di territorio della Siria orientale in mano agli jihadisti, si vede l’accampamento dove presumibilmente vivono gli uomini e le donne del Califfato. “Cos’è questo cosiddetto terrorismo di cui ci stanno accusando?”, chiede un altro uomo seduto in cerchio con altri miliziani. Le risposte, ovviamente, sono contenute nelle domande e nel messaggio che lanciano i vari jihadisti che si susseguono a parlare nel video: “La guerra non é finita”.
“Domani, a Dio piacendo – aggiunge Abu Abd al-Azeem – saremo in paradiso e gli infedeli bruceranno all’inferno. Gli infedeli hanno riso di noi, ci hanno umiliato, ma la guerra ha i suoi alti e bassi e la battaglia non è finita”. Nonostante le sconfitte subite, quello che resta dello Stato islamico prova a opporre resistenza in un campo assediato dove l’unico rifugio pare essere proprio la preghiera ad Allah. Le forze siriane avanzano e molti miliziani sono rimasti uccisi. Altri sono stati catturati, altri ancora tentano la fuga. Qualcuno è già riuscito a lasciare i territori tra Siria e Iraq, ma alcuni resistono.
“Servo di Dio, continua a recitare le tue preghiere e chiedi perdono – dice ancora nel video una voce dall’altoparlante di un furgone che vaga per il campo – Ravvedetevi e chiedete perdono a Dio, o servi di Dio, perché forse l’Onnipotente troverà una via d’uscita per noi”.
Che fine farà l’Isis?
Se Allah troverà una via d’uscita per la salvezza fisica di coloro che nel video hanno parlato, non è dato saperlo. Intanto, quello che emerge sempre più insistentemente è che le sconfitte dell’Isis in Siria e Iraq non hanno determinato la fine del terrorismo islamista. Come anticipato proprio da Ofcs. report già nel gennaio 2018: “Con la caduta dell’Isis in Siria ed Iraq, il movimento jihadista mondiale ha sicuramente perduto un simbolo, una bandiera sotto la quale riunirsi per portare avanti il folle progetto di una islamizzazione globale forzata, ma la spinta emulativa che il Daesh ha saputo imprimere ai suoi adepti e, di conseguenza, ai simpatizzanti, non deve ritenersi esaurita. Il rischio di un avvento del fenomeno chiamato “gemmazione”, ossia la proliferazione di gruppi minori che, sull’esempio dei seguaci di al-Baghdadi, continuino a colpire l’Occidente, non solo è latente ma in crescita costante. Una crescita quasi silenziosa che sfugge alle analisi più superficiali”.
E, come confermato nella Relazione dei servizi segreti presentata al Parlamento a fine febbraio, “la minaccia jihadista è rimasta anche nel 2018 costantemente all’attenzione dell’intelligence, per la quale ha anzi continuato a rappresentare una assoluta priorità. Ne fa stato l’impegno a tutto campo che – attivando, ove necessario, i previsti meccanismi di coordinamento ed in costante raccordo con le Forze di polizia ed i Servizi collegati – è stato dedicato dagli Organismi informativi al monitoraggio del fenomeno e delle sue tendenze sulla scena estera, così come delle sue espressioni in territorio nazionale”. Ma non solo. Secondo la nostra intelligence, “nonostante la perdita di territorio, combattenti e figure di rilievo, che ne ha indebolito la capacità di pianificare e dare diretto supporto ad azioni terroristiche di proiezione transnazionale, Daesh, determinato a colpire l’Occidente, si è mostrato ancora in grado di ispirare attacchi in Europa, suggerendone autori e modi. Quanto agli autori, il rilevato coinvolgimento, negli attentati perpetrati nel 2018 nel Continente, di soggetti con passato criminale o trascorsi in prigione, è valso a ribadire un tratto ormai congenito del fenomeno dei radicalizzati in ambito europeo”.