Isis minaccia di nuovo l’Italia. Ma quanto è reale la portata dell’insidia jihadista nel nostro Paese?
Prologo
Nel summit globale antiterrorismo tenutosi a Roma il 28 giugno scorso, Washington e Berlino hanno lanciato l’allarme sull’esponenziale e capillare diffusione dello Stato islamico in Africa. La coalizione in funzione anti-Isis guidata dagli Usa ha ribadito, in sede di convegno, i rischi derivanti dalla crescita di consensi ottenuti da Daesh nel teatro siro-iracheno, nel Sahel e in Europa. Come già sottolineato in passato e certificato dalle dichiarazioni dei partecipanti al summit di Roma, “l’Isis in Iraq e Siria è stato respinto, ma non sconfitto a livello globale”. La riscossa del Daesh in Africa, infatti, ha il suo epicentro nel Mali, dove negli ultimi giorni si sono susseguiti gli attacchi contro le Forze occidentali stanziate nel Paese e quelle regolari di Bamako.
L’Italia, già presente nella coalizione e Paese ospitante del Summit, per bocca del ministro degli Esteri, Luigi di Maio, ha espresso l’intenzione di voler creare una task force per contrastare la minaccia degli estremisti nel Sahel con una nuova missione che vada progressivamente a integrarsi e lentamente sostituirsi con quella già operativa a guida francese. Di Maio, pur non fornendo ulteriori dettagli sulla pianificazione della costituenda task force, ha comunque sottolineato che un ulteriore sforzo dell’Occidente in terra d’Africa è necessario per “identificare e fermare le minacce terroristiche legate all’Isis nel continente”.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, che ha partecipato alla riunione, allineandosi alle posizioni dell’Italia, ha esternato il pieno sostegno “all’iniziativa dell’Italia per assicurarci che la coalizione contro Daesh concentri le sue competenze sull’Africa, mentre teniamo gli occhi puntati su Siria e Iraq”. A margine delle dichiarazioni sul Daesh, il diplomatico di Washington ha esortato gli alleati della Coalizione a riportare indietro i loro cittadini arrestati nel teatro mediorientale per essersi uniti al gruppo jihadista e che ora si trovano in affollati campi di prigionia, solo parzialmente controllati, dove si trova una massa di circa 10.000 sospetti combattenti dello Stato islamico.
Al Naba, organo ufficiale dello Stato Islamico
Giunta all’edizione 294, in un’editoriale della rivista online Al Naba, organo ufficiale dello Stato islamico, si torna a minacciare l’Italia e Roma, “fra i principali bersagli dei mujaheddin”, unendo un target simbolico ad uno pragmatico, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
La terza pagina del magazine jihadista è stata, infatti, dedicata agli esiti del Summit di Roma, organizzato dal capo della Farnesina che ha riunito i rappresentanti dei Paesi impegnati nella lotta al terrorismo globale. Utilizzando un sarcasmo assai comune tra le fila del network jihadista, Al Naba ironizza sull’incapacità dell’Occidente di sconfiggere definitivamente l’Isis nel teatro mediorientale, promettendo una dura lezione ai “crociati e ai loro alleati apostati”.
L’editorialista ricalca le ammissioni di Di Maio in relazione ai rischi derivanti dalla crescita del Daesh nel Sahel ottenuta con i diversivi attuati in Iraq e Siria, con mini-attentati multipli, che hanno distolto l’attenzione della coalizione occidentale dalla preoccupante realtà che si palesa nel Continente nero. Al Naba ha inoltre inteso focalizzare l’attenzione degli adepti sul luogo scelto come sede del Summit: Roma, sottolineando come la Capitale italiana sia sempre stata al centro degli intenti bellicosi dapprima di Al Qaeda e, successivamente, dello Stato islamico. Al Naba evidenzia come Roma, capitale crociata, rappresenti il sigillo della profezia islamica di conquista dei territori di popolazioni apostate o miscredenti. Nell’articolo si citano vari Hadith (resoconti, racconti, testimonianze) dove, tra l’altro, si narra che i “romani saranno sconfitti nell’epica battaglia di Dabiq (città della Siria settentrionale conquistata dal Daesh e successivamente liberata nel 2016) da un esercito proveniente da Medina formato dai migliori uomini della Terra”, un riferimento ben poco allineato alla palesata volontà di colpire i “crociati” sul loro territorio e nella loro Capitale…
Quanto c’è di concreto nelle minacce del Daesh?
Lo Stato islamico, oggi, è costituito per lo più da una miriade di gemmazioni presenti ed operanti in vari teatri. Dalla Siria all’Iraq, dal Nord dell’Egitto alla Libia meridionale, dal Mali alla Somalia. Una presenza eterogenea ma inquietante che la dice lunga sulla capacità del network di rigenerarsi e colpire.
Ma il Daesh, in realtà, non è più riuscito (fortunatamente…) a strutturare attacchi complessi con azioni multiple e contemporanee su più obiettivi. Gli attacchi compiuti in Europa sono stati perpetrati da sedicenti lupi solitari la cui riconducibilità al gruppo terrorista emerge solo dalla loro adesione volontaria ed estemporanea agli ideali perseguiti dallo Stato islamico. In realtà “i soliti psicopatici”, non hanno mai ricevuto alcun avallo specifico dal Daesh nè in relazione al loro giuramento di fedeltà, né tantomeno, alla loro volontà di immolarsi per la causa. Così, il network jihadista ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo: io minaccio, tu colpisci, io rivendico. Si può così sintetizzare la strategia comunicativa dello Stato islamico che rivendica a suo piacimento ogni azione compiuta da un solo presunto adepto contro interessi (persone o cose) occidentali.
La reale concretezza delle minacce esternate sul web viene così a scemare se posta in relazione ai micidiali attacchi strutturati compiuti in Europa nell’arco dell’ultimo decennio da Al Qaeda e dall’Isis (Parigi, Bruxelles, Londra,…).
L’unica incognita degna di nota è quella relativa all’afflusso costante ed incontrollato di clandestini diretti verso le nostre Coste. In più di un’occasione, infatti, da queste pagine abbiamo sottolineato la presenza di miliziani operativi dei vari network jihadisti mimetizzati tra i “croceristi” in viaggio verso il sud Europa. Il pericolo più concreto, infatti, deriva proprio dall’impossibilità di delineare una stima precisa e non approssimata delle presenze di jihadisti sul nostro territorio decisi ad entrare in azione in maniera del tutto autonoma.
Al Naba, in conclusione, rende concreta la possibilità che i suoi messaggi, ben poco subliminali, attecchiscano nelle menti instabili di estremisti decisi a riportare il terrore nelle nostre strade e li inducano a passare all’azione, sotto l’egida del Daesh.