Riceviamo e pubblichiamo
a cura di Elena Ricci
Tre giorni fa ho appreso dal Corriere della Sera, di essere l’autrice di un post di insulti rivolto ad Ilaria Cucchi, nonché mandante di una vera e propria “offensiva contro la vittima”, senza però indicare quali e dove siano questi insulti. A strumentale contorno di tutto ciò, il fatto che io sia la responsabile ufficio stampa del Sap, il Sindacato Autonomo di Polizia che, ci tengo a sottolineare, è del tutto estraneo ai miei articoli poiché la mia collaborazione con il sindacato, è successiva al mio avvicinamento al caso giudiziario in questione. Non è poi motivo di denigrazione, considerato che il Sap rappresenta all’incirca 20.000 poliziotti. Il motivo? I miei articoli sul caso Cucchi, articoli che – come è facilmente riscontrabile dalla loro lettura – non hanno mai offeso Cucchi e famiglia ma, hanno solo decodificato quanto contenuto nelle perizie medico legali disposte dal Gip e riportato quanto reso in udienza dai testimoni (tutto documentato). La mia ‘colpa’ a quanto pare, sarebbe stato riportare quella verità degli atti mai argomentata, ovvero che la perizia, pur riconoscendo la presenza di lesioni le esclude quali causa del decesso del povero Stefano Cucchi. Colpevole dunque, di riportare gli atti e di difendere il principio costituzionalmente garantito della presunzione di innocenza, e colpevole di sostenere un contraddittorio mediatico e giornalistico che non esiste e nessuno osa intraprendere – viste le conseguenze – capisco il perché. Cosa c’è di ingiurioso nel fare cronaca sulla scorta di atti giudiziari? Nell’articolo del Corriere, profondamente lesivo della mia immagine non si indica dove io abbia insultato la signora Cucchi, né cosa abbia scritto, a differenza di quanto avvenuto con altre persone querelate, fra le ultime, un medico. A quanto pare, “l’informativa della Questura” in cui sono citata e a cui l’articolo si ispira, non riporterebbe espliciti insulti formulati dalla sottoscritta, questione che approfondiranno i miei legali per ogni azione in sede civile e penale.
Purtroppo, non tutti abbiamo la possibilità che ha la signora Cucchi, di accendere i riflettori su chi quereliamo. Lei sicuramente riceve insulti che trovano la mia più assoluta disapprovazione, ma gli insulti e le minacce arrivano anche a chi ha un pensiero diverso dal suo. Anche io, due settimane fa, ho formalizzato una querela nei confronti di 16 persone sedicenti antifascisti (della mia città, Taranto) e seguaci della sua pagina. Nel panorama mediatico e social è facile ottenere consensi, ma è anche facile ottenere dissensi. Questo però non vuol dire, accendere secondo la propria convenienza, i riflettori solo su alcuni commenti e utenti per colpire professionisti, giornalisti e operatori delle forze dell’ordine che semplicemente non sono d’accordo con Ilaria Cucchi.
Intimidire con la minaccia di una querela chi non la pensa allo stesso modo e cerca di raccontare tutte le sfaccettature di questa vicenda oramai più mediatica che giudiziaria, sfocia in vera e propria censura. Ho chiesto due giorni fa, al Corriere della Sera la pubblicazione della mia replica. Ad oggi ancora nulla. Evidentemente le mie ragioni valgono meno di insinuazioni atte a screditare il lavoro di chi, come noi giornalisti, è chiamato ad essere testimone di verità sulla base di atti, testimonianze, e non scopi intimidatori.