La Corte di Assise di Foggia ha condannato a 5 anni di reclusione l’imam egiziano Mohy Eldin Mostafa Omer Abdel Rahman, 60enne, presidente dell’associazione culturale islamica “Al Dawa” (la predicazione) di Foggia. L’uomo è stato ritenuto responsabile dei reati di terrorismo internazionale e apologia di terrorismo per aver indottrinato al martirio una decina di bambini durante lezioni di religione.
L’indagine che ha portato alla condanna dell’estremista egiziano, condotta dalla Digos di Bari e dalla Guardia di Finanza, ha segnato un punto focale nella lotta alla rete jihadista sedente nel nostro Paese. Nella piccola moschea, ovviamente abusiva, nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Foggia e monitorata dagli investigatori, militava un folto gruppo di estremisti tra i quali un miliziano ceceno dell’Isis, Eli Bombataliev, appartenente al gruppo terroristico “Emirato del Caucaso”. L’inchiesta dei pm baresi era partita nel luglio 2017 proprio con l’arresto del militante ceceno, ospitato a lungo nei locali dell’associazione foggiana e condannato nei mesi scorsi in appello a 5 anni di reclusione.
I cuccioli del Califfato
Le attività svolte all’interno dei locali della moschea includevano corsi di indottrinamento a gruppi di bambini tenuti con l’utilizzo di materiale propagandistico dello Stato islamico. L’obiettivo era quello di iniziarli al credo jihadista e trasformarli nei “Cubes of the caliphate“, i cuccioli del califfato. Tra gli “insegnamenti” impartiti quello relativo alla piena legittimità dell’odio contro i “miscredenti”, e il successivo giuramento di fedeltà (bay’a) al defunto Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Digos e Guardia di Finanza hanno provveduto a monitorare nel tempo, soprattutto attraverso il web e le intercettazioni ambientali, i contatti fra i componenti del gruppi e il flusso di documenti che venivano condivisi in rete tramite Whatsapp e Twitter.
L’insegnamento dell’imam: “Distruggere chiese e costruire moschee”
È quindi divenuta chiara tutta l’attività di propaganda jihadista e di indottrinamento al martirio impartito nei confronti di adulti e bambini. Durante le “lezioni di religione islamica”, inoltre, l’autoproclamato imam avrebbe mostrato per mesi a un gruppo di minorenni tra i 4 e i 10 anni immagini di teste sgozzate, raccontato episodi di odio e violenza, oltre che fornire le istruzioni per fabbricare armi e bombe in modo artigianale, secondo i dettami dei messaggi diffusi dallo stato islamico sulla rete di propaganda. Ma nel fascicolo delle indagini dei pm baresi sono compresi anche video con scene di uomini sgozzati da bambini, minori che imbracciano fucili e altri documenti nei quali si parla “dell’obbligo di distruggere le chiese e trasformarle in moschee, individuando l’Italia come obiettivo dell’attività terroristica”.
L’indagine conclusa a Foggia ha fatto emergere in maniera più che sostanziale quanto la realtà jihadista “italiana” non debba più essere raffigurata come un mero apporto logistico al network terroristico globale di matrice islamista. Le connessioni rilevate durante le investigazioni con realtà operanti al di fuori dei confini, pongono in evidenza una realtà in continua evoluzione ed un posizionamento dei militanti autoctoni nelle gerarchie medio alte dei gruppi islamisti, anche in considerazione della posizione strategica del nostro Paese nella rete jihadista mediterranea e della continuità delle attività di proselitismo e reclutamento alla base delle progettazioni future delle organizzazioni islamiste.