Quello che si cerca di fare con il nuovo Piano di ripartizione dei richiedenti asilo è rendere più conveniente accogliere i migranti, premiando i Comuni che lo fanno. Al momento ci sono 160mila migranti presenti nel sistema di accoglienza e il Viminale ha capito che i grandi centri temporanei con 400, 500 o anche più persone non funzionano e che i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) delle prefetture non sono una buona soluzione per l’integrazione sui territori. Così, il nuovo punto da cui ripartire è il modello Sprar. Ma di cosa si tratta nello specifico?
Ripartizione diffusa e sostenibile. Lo SPRAR è il sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo costituito dalla rete degli enti locali, insomma l’accoglienza dei soli migranti che ottengono lo status di rifugiati organizzata attraverso progetti di collaborazione tra terzo settore e comuni. Le caratteristiche principali sono numeri più piccoli e laboratori e tirocini lavorativi, resi sistematici insieme a tutte le attività che migliorano l’integrazione. In questi anni quello che è venuto fuori è che questo modello ha abbassato le tensioni sociali, i problemi psichiatrici e la vulnerabilità dei migranti perchè piccole comunità di 50 persone in una città con 120mila abitanti, per esempio, vengono integrate e accettate di più dai cittadini, rispetto a palazzoni-ghetto in cui vivono centinaia di persone abbandonate a sè stesse.
Un incentivo ad accogliere. Sono 8000 i comuni italiani che fungeranno da “puntata pilota” in base all’adesione volontaria dei sindaci al sistema. Sono stati introdotti meccanismi premiali, presentati assieme al concetto del piano a Bari, all’apertura dell’Assemblea congressuale Anci 2016: una quota straordinaria per ogni migrante accolto, il superamento del blocco delle assunzioni e l”immunità da distribuzioni coatte da parte dei prefetti.
“Sindaci e prefetti hanno affrontato bene in questi mesi una situazione di grande impegno per l’intero sistema di accoglienza ma c’è ora bisogno di un salto di qualità – spiega a Ofcs Report il capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno Mario Morcone – i sindaci preferiranno aderire ad un’accoglienza in piccoli numeri, rispetto che ritrovarsi a sorpresa dei centri temporanei con numeri molto più grandi, questo è quello che ci auguriamo”.
L’idea è che anche i piccoli comuni devono accogliere. Anche i piccoli comuni sono chiamati a impegnarsi con uno schema messo a punto dal Ministero che prevede di distribuire 2,5 richiedenti asilo ogni mille abitanti. I Comuni vengono divisi in tre classi: fino a 2.000 abitanti, con più di 2.000 abitanti e le città metropolitane. Nel primo caso il massimo dei migranti assegnati è 5; nell’ultimo si scende a 1,5 ogni mille abitanti. “Fermo restando che ogni Comune può chiedere di accogliere più persone di quante glie ne spetterebbero secondo il modello messo a punto – ha sottolineato il sottosegretario dell’Interno Domenico Manzione – il pilastro del Piano è l’adesione volontaria allo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo), da parte dei Comuni: chi non lo fa non potrà lamentarsi se gli verranno assegnati quote di migranti senza concertazione. E si pensa anche ad un progetto per fare accedere i richiedenti asilo al Servizio civile, evitando così che restino inoperosi sul territorio in attesa della definizione della domanda di protezione internazionale”.
Le esperienze che insegnano. Anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha detto durante l’assemblea Anci che “è importante affidare a ciascun Comune un peso sopportabile. I Comuni che si sottraggono fanno un torto agli altri, a quelli generosi e disponibili, perchè nel momento in cui non c’è la partecipazione di tutti c’è qualcuno che ha sulle spalle un peso maggiore e questo non è giusto e non è corretto”. Alcuni sindaci di piccoli centri del nord e del sud hanno molto da raccontare sull’accoglienza, come potete osservare dalle esperienze raccontate nei video, perchè da anni si sobbarcano il peso che sarebbe più leggero nel caso in cui si impegnassero un maggior numero di città. Per esempio Augusta, nella Sicilia orientale, ha visto da inizio 2016 oltre 20mila arrivi tramite sbarchi su una popolazione complessiva di 36mila abitanti e quindi chiede a gran voce di velocizzare le procedure di coordinamento. L’altra faccia della medaglia sono le esperienze positive, come nel caso dei comuni di Roccagorga (Latina) e Santorso (Vicenza), che segnalano quanto un’accoglienza basata su piccoli numeri riesca a garantire coesione nelle comunità locali e progetti concreti sul territorio. I comuni che fanno già parte della rete Sprar sono testimoni di un’accoglienza diversa, lontana da zone grigie come quelle venute fuori con Mafia Capitale, forse di un’accoglienza più umana.