Frammentario e misto. È il sistema italiano dei centri di accoglienza per i migranti. Un ordinamento intricato che prevede varie tipologie di ricezione per chi arriva nel nostro Paese, ma che spesso non viene rispettato per le difficoltà oggettive nel gestire i flussi migratori. Così le competenze dei diversi centri presenti sul nostro territorio si mescolano, generando un mosaico dalla difficile lettura.
In Italia la prima accoglienza è gestita dalle prefetture locali in collegamento con il ministero dell’Interno. In questo primo anello operano gli hotspot, centri di identificazione e di registrazione, dove transitano i migranti arrivati via costa che vengono poi traferiti, in caso di richiesta di asilo politico, presso gli hub regionali. In queste strutture, nate per sostituire i Cara e i Cda, dovrebbero soggiornare solo coloro che fanno parte del piano europeo di relocation (siriani, iracheni, eritrei secondo quote stabilite dalla Ue), oppure i richiedenti asilo di altra origine. Nei Cie, invece, transitano i non richiedenti asilo, i cosiddetti “irregolari”, in attesa di ricevere un decreto di respingimento con espulsione entro 7 giorni, qualora cessino le condizioni per il loro trattenimento.
Il secondo livello di accoglienza per i rifugiati prevede il passaggio agli Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali) o ai Cas (centri di accoglienza straordinaria). Secondo la road map tracciata dal Viminale, entro la fine del 2016, gli hub regionali avrebbero dovuto mettere a disposizione 15.550 posti contro i 12mila del 2015.
Al momento però non è possibile ricostruire con precisione la presenza territoriale degli hub in Italia, a causa della complessità e delle diverse competenze (sulla carta), che contraddistinguono i centri di accoglienza. “Gli hub sono più un progetto che una realtà”, spiega a Ofcs Report il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. “Nei giorni scorsi ho visitato il centro di accoglienza straordinaria di Udine che nei fatti è un hub – continua Manconi – lì i migranti sono nel 95% dei casi richiedenti asilo. Tutte queste strutture sulla carta rispondo a una strategia ma poi nei fatti hanno una differente applicazione e realizzazione: andrebbe fatta un’analisi più sulla realtà che non sulle mappe”.
I dati sugli hub, su cui è quindi difficile fare chiarezza, non sono ancora presenti sullo stesso sito del ministero dell’Interno. Di più facile lettura, invece, la questione dei Cie. Sono quattro a oggi quelli operativi: Ponte Galeria a Roma (250 posti), il centro di Corso Brunelleschi a Torino (circa 40 posti), quello di Restinco a Brindisi (circa 80 posti) e quello di Pian del Lago a Caltanissetta (96 posti). A questi potrebbero aggiungersi, dopo che il ministro Minniti ha annunciato l’apertura di nuovi centri di accoglienza per prevenire fenomeni di terrorismo, altri ex Cie ora riconvertiti in Cara o Centri di accoglienza, come quello di via Corelli a Milano, di Gradisca d’Isonzo in Friuli sino agli stessi hotspot di Trapani (400 posti) e di Lampedusa (250 posti).
“La vera questione è che i quattro Cie sino allo scorso dicembre non accoglievano gli irregolari – afferma il senatore Manconi – i trattenuti nei centri erano complessivamente meno di 400: sono cifre irrisorie. Non è certo colpa del Ministero se queste strutture hanno una popolazione mista di richiedenti asilo e di immigrati economici ma la responsabilità sta nell’aver immaginato di poter distinguere così nettamente le due condizioni. La realtà è quella: sono l’uno accanto all’altro, per cui pretendere di distinguere è una velleità”.
A dicembre 2016 i richiedenti asilo in Italia erano 11.205 in calo rispetto a novembre. Circa 3.000 i nigeriani, l’etnia con maggiore presenza anche se crescono le domande da parte di sudanesi (+57% rispetto al mese precedente), seguiti da egiziani, togolesi e somali. Un dettaglio interessante è che il 52% degli oltre 3.000 casi esaminati a dicembre è stato rifiutato. La stessa percentuale è stata registrata nel mese precedente. Un gruppo folto di persone che va ad aggiungersi a coloro identificati già come irregolari.
“Negli ultimi 10 anni le persone espulse passate dai Cie sono state circa il 44%: un fallimento rispetto allo scopo”, sottolinea Manconi ricordando l’ultima visita fatta il giorno dell’epifania al centro di Ponte Galeria. “Il reparto maschile è chiuso da un anno, quello femminile ospita adesso 48 donne: nessuna delle quali costituisce un’insidia per lo Stato italiano ma piuttosto una questione sociale che esige protezione, tutela e assistenza. Sono donne di strada che vivono in Italia da una decina d’anni e che conducono una regolare vita irregolare, faticando l’esistenza come tanti”.