Il Nuovo Partito Comunista stila liste contro gli ebrei, poche idee ma ben confuse.
I media arabi, appaiono riluttanti rispetto alla notizia della liberazione da parte dell’Idf di un ostaggio del gruppo terroristico Hamas, tenuto in condizioni di estrema indigenza in un tunnel della Striscia di Gaza.
Quasi nessuno, infatti, cita la notizia della riottenuta libertà di un beduino residente in Israele, nei pressi di Gaza, un arabo israeliano di fede musulmana, padre di undici figli e perfettamente integrato nel tessuto sociale dello Stato ebraico.
Da qui si può dedurre quanto contorta possa essere la pseudo ideologia “palestiniana” che induce a immaginare un parallelismo tra l’establishment di Hamas (ma anche quello di Hezbollah o la Jihad islamica), disposta a sacrificare la vita dei palestinesi pur di non perdere il potere, a discapito degli stessi, mentre, l’odiato “Stato sionista” è disposto a rischiare quelle dei propri militari per trarre in salvo un cittadino arabo-musulmano.
Inoltre, ci si può facilmente dilettare nella contestazione e nel rifiuto dell”apologia di apartheid” che i soliti noti della sinistra europea, sostenitori di questa accusa nei confronti di Israele, mentre si può comprendere come la stessa venga utilizzata sui social media dai gruppi estremisti palestinesi in chiave di propaganda, potendo contare sui sinistrati nostrani e su migliaia di immigrati indottrinati alla cultura dell’odio ad ogni costo.
E l’operazione di disinformazione pare funzionare coinvolgendo, peraltro, i “soliti noti” della sinistra antagonista e anarcoide che, privi di sostanziali argomentazioni che non siano quelle relative alle operazioni di incentivazione dell’immigrazione clandestina vista come un futuro bacino di consenso elettorale, si prodigano nello stilare liste di soggetti, aziende, entità “sioniste” di fatto mascherando quella che è la realtà: un antisemitismo dilagante in Europa.
Stiamo parlando, ovviamente, del sedicente (nuovo) PCI che, a conclusione della riunione del proprio Comitato centrale tenutasi il 4 agosto scorso a Pontedera e della connessa iniziativa “Con la Palestina che resiste, fino alla vittoria!” organizzata dal “partito dei CARC” (Comitato di appoggio e resistenza per il comunismo), ha inteso intraprendere una “lotta contro organismi e agenti sionisti in Italia è lotta per sostenere la resistenza del popolo palestinese, delle masse popolari ebree e di altre nazionalità residenti in Palestina e dei movimenti e organismi antimperialisti del Medio Oriente e allo tempo stesso è lotta per liberare il nostro paese dai gruppi imperialisti che lo occupano”.
Tutto ciò “Prendendo spunto dalla denuncia, fatta durante l’iniziativa del 4 agosto, del ruolo dei sionisti nell’apparato mass-mediatico italiano, si è scatenata una campagna mediatica tesa ad intimidire e a minacciare ritorsioni repressive contro l’attivista Gabriele Rubini (in arte chef Rubio), l’Unione Democratica Arabo Palestinese (UDAP) e il P.CARC”.
Ora, in considerazione della pochezza ideologica, della limitata capacità comunicativa ed anche in termini numerici, delle entità citate, è d’uopo porsi alcuni interrogativi. Avendo modo di colloquiare amabilmente con amici e conoscenti appartenenti alla comunità araba in Italia e nello stesso Medio Oriente, nessuno tra loro ha mai inteso parlare di codeste formazioni se non individuando nei concetti espressi dalle stesse, una certa assonanza di linguaggio propria dei gruppi terroristici “pro-Palestina” che durante il trentennio 1960-1990 erano formalmente alleati con omologhi gruppi europei di ispirazione marxista-leninista-maoista quali le Brigate Rosse, la RAF, Rote Armee Fraktion (Frazione dell’Armata Rossa), operante in Germania ed identificata spesso come “banda Baader-Menhof”e la “Action Directe” in Francia.
Come la storia ci rammenta, al-Fatah, o al-Fath, organizzazione madre della “resistenza palestinese”, nacque nel 1961 e aderì successivamente all’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), dichiaratamente impegnata nella lotta politica a sostegno della formazione di uno Stato palestinese. Ma di per sé, l’OLP non rappresentava certo un’organizzazione granitica e priva di dissensi e diramazioni proprie dei sostenitori della “lotta armata” ad ogni costo. Proprio dall’OLP, infatti, si diramarono numerose formazioni terroristiche quali, ad esempio, il Fronte democratico per la Liberazione della Palestina, di stampo marxista e leninista, così come il Fronte democratico per la Liberazione della Palestina e settembre nero. Anche Hamas e la Jihad islamica presero spunto dalle aspirazioni nazionaliste arabe di Yasser Arafat, intendendo, però, agire in conformità all’Islam radicale, discostandosi, di fatto, dal laicismo insito nelle formazioni politiche impegnate, comunque, al raggiungimento dei medesimi obiettivi.
In tutto ciò, le formazioni europee, erano già impegnate a condurre operazioni terroristiche con l’intento di sovvertire l’ordine democratico costituito in favore dell’instaurazione di uno stato socialista, per il quale “i comunisti devono tracciare il percorso per raggiungere l’obiettivo e seguirlo con tenacia e flessibilità: devono avere un preciso piano d’azione. “Devono”, per dirla con le parole di Lenin nel 1905, “organizzare la rivoluzione”, adottare la “tattica piano” che già Lenin contrapponeva alla “tattica processo” caldeggiata dagli opportunisti di tutti i tempi e paesi, dai russi (i menscevichi) fino a quelli di casa nostra ancora oggi”.
La riedizione di quegli intenti bellicosi, pare riconoscibile nelle parole contenute nei comunicati del CARC, il Comitato di appoggio alla resistenza per il comunismo, un movimento politico extraparlamentare sorto nei primi anni ’90 del secolo scorso e ispirato ideologie marxiste-leniniste e maoiste nel suo impegno profuso nella lotta per i diritti dei lavoratori e contro le politiche capitaliste.
Su queste basi si è voluta creare, dal 3 ottobre 2004, una nuova entità, il (nuovo)PCI, il cui responsabile, si identifica in tale “Ulisse”, un soggetto, peraltro, già noto agli organi di sicurezza, che ha teso rimettersi politicamente in discussione con la creazione della neonata fazione, ed in questo, con i proclami a sua firma, rifacendosi ad un passato quantomeno inquietante per il nostro Paese.
La dialettica con la quale vengono redatti i cosiddetti “Avvisi ai naviganti” tenta, inutilmente, di imitare in maniera grossolana le “risoluzioni strategiche” delle Brigate Rosse, queste ultime ispiratrici involontarie del nuovo progetto dei neo-continuatori della rivoluzione proletaria mondiale, che al momento appaiono come una formazione isolata dal contesto politico e dalle masse di sostenitori di ideologie affini.
Ma anche rispetto agli altri componenti del (nuovo) PCI, nonostante la volontà espressa di “operare in clandestinità”, non sussistono dubbi sulle identità e ci si chiede quale sia il concetto di “clandestinità” dagli stessi propalato, forse quello delle “coperture” offerte dal web?
Una riedizione delle Brigate Rosse, nel 2024, è quantomeno risibile, non fosse altro che i vecchi “brigatari” possedevano doti comunicative non comuni, capacità di operare nell’ombra, addestramento idoneo ad azioni violente e, soprattutto, non stilavano liste di obiettivi anzitempo, ma rivendicazioni ad evento concluso.
L’innovazione, che occorre riconoscere alla riproposizione di una sorta di nuova fazione rivoluzionaria, è quella relativa ai target proposti e diffusi. Non si tratta di un mero proposito di “colpire nel mucchio” nel vasto panorama degli aderenti o simpatizzanti della nazione di Israele (tralasciando il citato sionismo utilizzato, come detto, per celare il sentimento antisemita diffuso), ma di raccogliere consensi tra le masse di immigrati clandestini o meno, quasi tutti raccolti nella difesa del sacro Islam visto come simbolo coinvolgente ed unificatore, che fornirebbero non solo una non trascurabile manovalanza in chiave anti-israeliana ma, a livello politico, a raccogliere un consenso in termini di preferenze politiche con un enorme bacino elettorale propenso a simpatizzare con i propositi di una sinistra allo sbando e dedita a sostenere i diritti di chiunque ma mai dei doveri imposti costituzionalmente ai propri concittadini, siano essi indigeni o immigrati.
Quanta differenza con Israele, Paese ove convivono pacificamente ebrei “sabra”, ebrei immigrati, arabi musulmani, cristiani e minoranze di ogni tipo che hanno fatto loro il sacro dovere di difendere la Nazione, al di là delle differenti posizioni politiche, un sentimento che i sinistrati italiani apostroferebbero come “fascista”.
Tutto questo senza la capacità di comprendere quanto siano lontani quei periodi bui degli “anni di piombo” e quanto essi stessi, quali rivoluzionari, siano distanti anni luce dalle ideologie proprie che portarono, a suo tempo, ad un successo inaspettato proprio i partiti parlamentari che rappresentavano seriamente la sinistra politica, pur ponendosi in contrapposizione con la linea del rovesciamento violento del regime democratico in cui si riconoscevano, appunto, le Brigate Rosse, uscite perdenti e smembrate grazie all’unità di intenti di tutto il Paese che le ha combattute e sconfitte.
Nell’intento di far capire, a chi intende capire, cito testualmente le parole del compianto presidente israeliano Shimon Peres, presidente d’Israele dal 2007 al 2014: “L’operazione di Entebbe (4 luglio 1976 Ndr.) segnò un punto di svolta che cambiò il rapporto del mondo con il flagello del terrorismo e con le menti criminali degli esecutori…persino i palestinesi, che avevano sempre creduto che il terrorismo fosse una conseguenza della loro tragedia, ora cominciarono a capire che la loro tragedia è la conseguenza dell’essersi affidati al terrorismo”.