Cina e Iran, due potenze orientali che, sebbene in modo diverso, minacciano la nostra sicurezza. Questo è stato il tema principale al centro dell’ultimo viaggio di Mike Pompeo in Italia nel corso della sua ultima visita ufficiale nel nostro Paese, successiva ad altre visite lampo più o meno pubblicizzate avvenute nei mesi scorsi. Nel mese di settembre, il suo viaggio nella Penisola lo ha condotto a colloqui con le più alte sfere delle autorità delegate alla politica estera. La richiesta più formale è stata quella di un deciso allontanamento da Pechino in relazione ai rischi legati alla tecnologia sviluppata dai cinesi in materia di telecomunicazioni mobili. Il colosso Huawei, con il suo accesso alla rete 5G metterebbe a serio rischio la privacy degli italiani e, soprattutto, rappresenterebbe una seria minaccia per la sicurezza del comparto difesa per il rischio di violazione dei sistemi informatici militari per estendere gli scopi strategici di Pechino.
L’incontro principale, avvenuto con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha avuto per oggetto appunto il 5G cinese, con il memorandum firmato il 23 marzo 2019 tra Roma e Pechino, ma anche l’opposizione del Movimento 5 Stelle all’acquisto degli F35, considerata una mossa completamente errata in merito all’ammodernamento della difesa aerea, e le dichiarazioni di critica dei grillini sul decreto Golden Power, deliberato per la tutela degli gli assets strategici in un periodo di vulnerabilità finanziaria, ma anche a salvaguardare la fornitura di beni essenziali come presidi medici, prodotti farmaceutici, generi alimentari e le relative filiere. Il tutto ha reso il Movimento 5 Stelle italiano un interlocutore non particolarmente allineato alle posizioni di Washington, quindi da considerarsi ostile alla linea Usa in tema di politica estera.
Ma a margine degli incontri del segretario di Stato, la delegazione americana ha incontrato in modo più riservato anche i vertici dell’Intelligence, e gli argomenti di conversazione hanno spaziato dal 5G cinese, alla ricollocazione di truppe Usa in Italia e ai rischi legati all’innalzamento delle tensioni in Medio Oriente causati dalle politiche bellicose di Teheran mirate a Israele, ma anche ai Paesi europei alleati o allineati a Gerusalemme, Italia compresa.
Proprio in relazione agli intenti iraniani, le nostre agenzie di sicurezza hanno innalzato il livello di allerta per i rischi connessi ad azioni di spionaggio da parte degli uomini dell’intelligence di Teheran.
Mentre l’infiltrazione cinese è più protesa al comparto tecnologico e commerciale italiano, quella iraniana mira all’acquisizione, anche non ortodossa, di armamenti e informazioni relative ad obiettivi sensibili, sempre oggetto di particolare attenzione per il rischio di atti di terrorismo.
Una rete di spionaggio, quella iraniana, ben radicata in Italia e consolidatasi negli anni grazie alla ridestinazione di uomini e mezzi dell’intelligence nostrana al crescente fenomeno del terrorismo islamista, piuttosto che al controspionagggio mirato ai progetti di proliferazione nucleare iraniana.
Il Vevak, il servizio informazioni di Teheran, composto essenzialmente dai Pasdaran, i guardiani della rivoluzione sciita e di Hezbollah, è cosi riuscito a radicarsi nel territorio in maniera silente e, come le cellule terroristiche di al Qaeda e Isis, a stabilire e consolidare i rapporti con la malavita locale.
Nelle mire degli 007 persiani, le aziende produttrici di materiali di armamento e di componenti per la missilistica e la localizzazione, ma anche gli esponenti dell’opposizione al regime rifugiatisi in Italia e in Europa. All’attenzione degli iraniani, però, non sono sfuggite anche le nostre infrastrutture di difesa approntate già nel primo dopoguerra, rinforzate nel ventennio successivo e abbandonate dagli anni 90.
Ma gli intenti bellicosi di islamisti sunniti e sciiti non si sono fermati a fronte dell‘evoluzione della storia.
I depositi di armi e munizioni, nonché quelli di sviluppo e stivaggio di armi chimiche e batteriologiche, in barba a qualsiasi trattato, non sono certo sfuggiti alle attenzioni degli 007 persiani.
E non è difficile seguire le tracce della loro rincorsa all’accaparramento di materiale bellico. Si va dai grandi gruppi industriali che con tattiche tipiche del loro assetto riescono a eludere le sanzioni contro Teheran, a quelle molto più pratiche dell’agenzia di spionaggio iraniana che altro non ha fatto che seguire la colpevole involuzione dei sistemi di difesa italiani ed europei successiva alla caduta del muro di Berlino. La mappatura delle polveriere e dei magazzini (dismessi ma non troppo…) esistenti sul territorio nazionale, così come l’ampia storiografia in merito, sono nelle mani, e all’attenzione, di chi intende minacciare seriamente la nostra sicurezza.
Non si tratta di creare sensazionalismo, ma di prendere atto che la politica buonista e pacifista ad ogni costo, ha portato il nostro Paese a trovarsi indifeso e a rincorrere la minaccia di turno con mezzi e personale del tutto inadeguati.
È dunque chiaro che il viaggio di Pompeo a Roma abbia portato al centro dell’attenzione le attività nel nostro Paese di cinesi e iraniani, questi ultimi colpiti dalla ulteriore richiesta di sanzioni da parte del governo americano che chiede maggior impegno per contrastare le mire espansionistiche dei due Paesi in tema di tecnologia e sicurezza.
Il ridispiegamento di circa 5.000 militari americani dalla base di Ramstein in Germania, alla nostra Penisola, è stato un segnale voluto da Donald Trump a fronte di un deciso calo degli investimenti nel comparto difesa del Cancelliere Merkel, per così dire, “se voi non spendete per la vostra difesa, perchè dovremmo farlo noi ?”.
Israele, da sempre nel mirino degli Ayatollah, ha più volte ridicolizzato le vanterie iraniane, dapprima, nel gennaio 2018 con il clamoroso furto di un intero archivio dai palazzi dell’intelligence della capitale iraniana da parte del Mossad, poi con la neutralizzazione di Qassem Soleimani, spietato leader della forza Quds e, più di recente, con l’eliminazione di Abdullah Ahmed Abdullah, noto anche con il nome di Abu Mohammed al-Masri, numero due di al Qaeda, neutralizzato a Teheran da una squadra del Mossad e ritenuto legato e “coperto” proprio dai Pasdaran. Insomma, un approccio un tantino diverso dal nostro che mira alla naturale difesa del Paese e dei propri cittadini anche ricorrendo a metodi poco ortodossi. Il Paese ebraico rimane sempre nel mirino, ma le attività di contrasto alla proliferazione nucleare iraniana e, più in generale al terrorismo islamista, conducono il nemico a cautelarsi ancor prima di provare a colpire.
Ma i rischi di azioni estemporanee anche da parte di singoli sono sempre e comunque latenti, sia in Israele che in tutto l’Occidente.
Noi corriamo il medesimo rischio e comunque, sta di fatto, che il nostro Paese si trova alla mercé dell’esaltato di turno, sia esso di estrazione terrorista, sia associato a un qualsivoglia Paese nemico. La mappatura del nostro territorio è a disposizione di tanti, troppi, come dimostrato dalla sgradita “scoperta” che Forte Braschi, segretissima base degli 007 nostrani dediti alle questioni estere, era completamente monitorata dalle telecamere di Google.