Il 2016 è stato l’anno del boom nell’utilizzo dei voucher: 133 milioni quelli venduti nel nostro Paese. Dalla loro effettiva entrata in vigore nel 2008 sino a oggi sono stati oltre 410 milioni i ticket acquistati dai datori di lavoro. Negli anni l’età media – come riportato sul sito web dell’Inps – si è via via abbassata dai 60 ai 35 anni. Un fenomeno complesso e ricco di contraddizioni, che se letto in controluce riporta le storie di tanti giovani precari della generazione voucher.
Brunangela ha 28 anni e arriva in Umbria dalla bassa Campania circa un anno fa. Piena di speranze e di aspettative, dopo una laurea in scienze politiche, si reca in un’agenzia di formazione a Città di Castello, in provincia di Perugia. Chiede se ci sono posizioni aperte in funzione della sua qualifica di assistente sociale, dopo avere fatto una ricerca su dove presentarsi e proporsi nella sua nuova città.
“Loro hanno valutato il mio curriculum e implicitamente credevo di dovere insegnare una materia di mia competenza: invece si tratta di un insegnamento per la progettazione di attività di animazione ludico-ricreativa, rivolte ai bambini dai 12 a 6 anni – spiega Brunangela a Ofcs Report – Accettai nella speranza che in futuro si aprissero nuove posizioni più affini al mio profilo”.
La 28enne inizia allora a studiare intensamente tre mesi, in vista del corso di formazione in aula che la vedrà impegnata con una decina di studenti per la durata di una sola settimana, pagata con i voucher: 8 ore complessive per 90 euro netti. Il senso di responsabilità e l’entusiasmo di una giovane donna qualificata, in possesso anche di una certificazione di lingua ottenuta in un’accademia inglese, la portano a scrivere praticamente una nuova tesi di laurea.
“Ho preparato questa materia per così tanto tempo e poi il tutto si è esaurito in poche ore: 3 mesi di studio con ricerca e produzione di slide, tanto vale allora dare lezioni private, almeno si guadagna di più”, racconta Brunangela che sta cercando di metter su famiglia con il marito, tra le tante difficoltà con cui sono costretti a fare i conti ormai tanti giovani italiani nell’ottenere un contratto.
“Sono stata io stessa a non voler più avere rapporti di lavoro con quell’agenzia – ricorda la giovane precaria – nonostante mi avessero contattato per dirmi che, laddove si fossero aperte nuove posizioni, mi avrebbero chiamata. Ma se fossi rimasta lì il metodo di pagamento sarebbe rimasto quello dei voucher, oltre al non potere sfruttare al meglio le mie competenze”.
L’impossibilità di spendere il proprio titolo di studi ormai si coniuga anche con la flessibilità dei giovani italiani, o non più giovanissimi, che per andare avanti investono sempre più nella loro formazione o in nuove qualifiche professionali. La storia di Brunangela ne è un esempio. Prima un tirocinio svolto presso il suo comune di residenza, sempre nell’ambito delle politiche sociali, e adesso un lavoro nel campo dell’assistenza come operatrice socio-sanitaria, grazie a un corso professionale conseguito. Tra una cosa e l’altra, la generazione voucher sembra davvero non fermarsi mai.